Agevolazione “prima casa” anche se il precedente immobile è dichiarato inagibile

Agevolazioni ai fini dell’acquisto di altro immobile con agevolazione “prima casa” in presenza di una oggettiva ed assoluta inidoneità dell’immobile “pre posseduto”, dichiarato inagibile dall’Autorità competente (Agenzia delle entrate – Principio di diritto 17 marzo 2022, n. 1)

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro con aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere, tra le altre, le seguenti condizioni:
– che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
– che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni. (Nota II- bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Costituiscono, quindi, condizioni ostative alla fruizione dei benefici ” prima casa”, tra l’altro, la titolarità di altra casa di abitazione nello stesso Comune del nuovo acquisto, ovvero di altra casa di abitazione acquistata con le agevolazioni, indipendentemente dal luogo in cui essa è ubicata.
Al riguardo, l’intento del legislatore è evitare il duplice godimento dell’agevolazione ” prima casa” che si realizzerebbe – all’atto del secondo acquisto – laddove l’agevolazione sia stata già goduta in precedenza dal medesimo contribuente per un immobile di cui risulti ancora titolare.
Più di recente, Il Fisco, in una ipotesi di immobile dichiarato inagibile a seguito di un evento sismico, ha affermato come, per effetto dell’evento stesso, si è verificato un impedimento oggettivo, non prevedibile e tale da non poter essere evitato che ha comportato l’impossibilità per il contribuente di continuare ad utilizzare l’immobile acquistato per finalità abitative.
Tale oggettiva ed assoluta inidoneità dell’immobile “pre posseduto” risultante da idonea documentazione e indipendente dalla volontà del contribuente, conduce a ritenere che, fino a quando permanga la dichiarazione di inagibilità dell’immobile ” pre posseduto”, si potrà beneficiare dell’agevolazione ” prima casa” per l’acquisto del nuovo immobile, nel rispetto di tutte le altre condizioni previste dalla normativa. In accordo con tale prassi, nel caso di un immobile acquistato fruendo dell’agevolazione ” prima casa” che sia stato oggetto di un decreto di sequestro ai sensi dell’articolo 253 c.p.p. e di dichiarazione di inagibilità da parte dell’Autorità competente in quanto sono venuti meno i requisiti igienico sanitari, strutturali, impiantistici e di sicurezza antincendio, in misura tale da pregiudicare l’incolumità pubblica e privata”, è possibile beneficiare dell’agevolazione in argomento per l’acquisto di un nuovo immobile fino a quando permanga la dichiarazione di inagibilità dell’immobile ” pre posseduto”, indisponibile per il proprietario.

Agevolazioni ai fini dell'acquisto di altro immobile con agevolazione "prima casa" in presenza di una oggettiva ed assoluta inidoneità dell'immobile "pre posseduto", dichiarato inagibile dall'Autorità competente (Agenzia delle entrate - Principio di diritto 17 marzo 2022, n. 1)

Ai fini dell'applicazione dell’imposta di registro con aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere, tra le altre, le seguenti condizioni:
- che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare;
- che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni. (Nota II- bis all'articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Costituiscono, quindi, condizioni ostative alla fruizione dei benefici " prima casa", tra l'altro, la titolarità di altra casa di abitazione nello stesso Comune del nuovo acquisto, ovvero di altra casa di abitazione acquistata con le agevolazioni, indipendentemente dal luogo in cui essa è ubicata.
Al riguardo, l’intento del legislatore è evitare il duplice godimento dell'agevolazione " prima casa" che si realizzerebbe - all'atto del secondo acquisto - laddove l'agevolazione sia stata già goduta in precedenza dal medesimo contribuente per un immobile di cui risulti ancora titolare.
Più di recente, Il Fisco, in una ipotesi di immobile dichiarato inagibile a seguito di un evento sismico, ha affermato come, per effetto dell'evento stesso, si è verificato un impedimento oggettivo, non prevedibile e tale da non poter essere evitato che ha comportato l'impossibilità per il contribuente di continuare ad utilizzare l'immobile acquistato per finalità abitative.
Tale oggettiva ed assoluta inidoneità dell'immobile "pre posseduto" risultante da idonea documentazione e indipendente dalla volontà del contribuente, conduce a ritenere che, fino a quando permanga la dichiarazione di inagibilità dell'immobile " pre posseduto", si potrà beneficiare dell'agevolazione " prima casa" per l'acquisto del nuovo immobile, nel rispetto di tutte le altre condizioni previste dalla normativa. In accordo con tale prassi, nel caso di un immobile acquistato fruendo dell'agevolazione " prima casa" che sia stato oggetto di un decreto di sequestro ai sensi dell'articolo 253 c.p.p. e di dichiarazione di inagibilità da parte dell'Autorità competente in quanto sono venuti meno i requisiti igienico sanitari, strutturali, impiantistici e di sicurezza antincendio, in misura tale da pregiudicare l'incolumità pubblica e privata", è possibile beneficiare dell'agevolazione in argomento per l'acquisto di un nuovo immobile fino a quando permanga la dichiarazione di inagibilità dell'immobile " pre posseduto", indisponibile per il proprietario.

Anagrafe tributaria: prorogati i termini per comunicare i dati relativi agli interventi edilizi ed energet

Prorogati al 7 aprile 2022 i termini per la comunicazione all’anagrafe tributaria, ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata 2022, dei dati relativi agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati su parti comuni di edifici residenziali. (Agenzia delle entrate – provvedimento 16/3/2022 n. 83833)

In deroga a quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 4, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, esclusivamente con riferimento alle spese sostenute nel 2021, i soggetti individuati dall’articolo 2 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 1° dicembre 2016 trasmettono i dati relativi alle spese sostenute dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo delle parti comuni dell’immobile oggetto di ristrutturazione, entro il 7 aprile 2022.

Prorogati al 7 aprile 2022 i termini per la comunicazione all’anagrafe tributaria, ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata 2022, dei dati relativi agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati su parti comuni di edifici residenziali. (Agenzia delle entrate - provvedimento 16/3/2022 n. 83833)

In deroga a quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 4, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, esclusivamente con riferimento alle spese sostenute nel 2021, i soggetti individuati dall’articolo 2 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 1° dicembre 2016 trasmettono i dati relativi alle spese sostenute dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo delle parti comuni dell’immobile oggetto di ristrutturazione, entro il 7 aprile 2022.

L’antieconomicità dell’attività del taxista legittima l’accertamento

La presunzione di ricavi non dichiarati legittima l’avviso di accertamento dell’ufficio dell’Amministrazione finanziara in caso evidenti incongruenze emerse relativamente ai ricavi dichiarati, tali da far ritenere l’inattendibilità della dichiarazione resa dal contribuente (Corte di cassazione – ordinanza 10 marzo 2022, n. 7805).

I giudici della Corte hanno ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio dell’Amministrazione finanziaria che pure in presenza di un’attività congrua e coerente agli studi di settore ha ritenuto esigui, incongruenti e inattendibili i ricavi dichiarati sulla base dei dati indicati dal contribuente nel modello degli studi di settore oltre ad alcuni dati.
Nel caso di specie, i dati emersi dal controllo contabile del “Registro dei corrispettivi” e delle “schede carburanti” ed in particolare il fatto che i costi dei carburanti erano attestati trimestralmente ad una cifra piuttosto costante, di circa € 700,00 al trimestre, costo che rimaneva costante in contabilità a prescindere dalla quantità di chilometri percorsi nei vari trimestri, hanno portato a giudicare inattendibilità della contabilità , con la conseguenza di ritenere legittimo l’operato dell’ufficio che sulla base di tali elementi ha ricostruito i ricavi del servizio taxi attraverso l’elaborazione logica di elementi presuntivi fondati su atti ufficiali e dati certi e, quindi, dotati di valore indiziario “forte”.
Sull’argomento i giudici della Corte hanno più volte chiarito che il fatto che l’accertamento tragga spunto da uno studio di settore non esclude che esso possa fondarsi anche su altri elementi significativi aventi i caratteri della gravità, precisione e concordanza. In particolare, l’accertamento tributario può ritenersi basato sugli studi di settore soltanto quando trovi in questi fondamento prevalente, situazione questa, non ricorrente quando, come nella specie, all’esito dell’accertamento mediante studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità d’impresa che abbiano indotto l’ente accertatore ad approfondire l’analisi e quindi a individuare elementi (prevalenti) dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata. Ne consegue, che una volta che l’Amministrazione abbia contestato l’anti-economicità di un’operazione posta in essere dal contribuente perché basata su una contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere dello stesso contribuente dimostrare la liceità fiscale dell’operazione e quindi di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità.

La presunzione di ricavi non dichiarati legittima l’avviso di accertamento dell’ufficio dell’Amministrazione finanziara in caso evidenti incongruenze emerse relativamente ai ricavi dichiarati, tali da far ritenere l'inattendibilità della dichiarazione resa dal contribuente (Corte di cassazione - ordinanza 10 marzo 2022, n. 7805).

I giudici della Corte hanno ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio dell’Amministrazione finanziaria che pure in presenza di un'attività congrua e coerente agli studi di settore ha ritenuto esigui, incongruenti e inattendibili i ricavi dichiarati sulla base dei dati indicati dal contribuente nel modello degli studi di settore oltre ad alcuni dati.
Nel caso di specie, i dati emersi dal controllo contabile del "Registro dei corrispettivi" e delle "schede carburanti" ed in particolare il fatto che i costi dei carburanti erano attestati trimestralmente ad una cifra piuttosto costante, di circa € 700,00 al trimestre, costo che rimaneva costante in contabilità a prescindere dalla quantità di chilometri percorsi nei vari trimestri, hanno portato a giudicare inattendibilità della contabilità , con la conseguenza di ritenere legittimo l'operato dell'ufficio che sulla base di tali elementi ha ricostruito i ricavi del servizio taxi attraverso l'elaborazione logica di elementi presuntivi fondati su atti ufficiali e dati certi e, quindi, dotati di valore indiziario "forte".
Sull’argomento i giudici della Corte hanno più volte chiarito che il fatto che l'accertamento tragga spunto da uno studio di settore non esclude che esso possa fondarsi anche su altri elementi significativi aventi i caratteri della gravità, precisione e concordanza. In particolare, l'accertamento tributario può ritenersi basato sugli studi di settore soltanto quando trovi in questi fondamento prevalente, situazione questa, non ricorrente quando, come nella specie, all'esito dell'accertamento mediante studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità d'impresa che abbiano indotto l'ente accertatore ad approfondire l'analisi e quindi a individuare elementi (prevalenti) dell'esistenza di una operatività economica non dichiarata. Ne consegue, che una volta che l'Amministrazione abbia contestato l'anti-economicità di un'operazione posta in essere dal contribuente perché basata su una contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere dello stesso contribuente dimostrare la liceità fiscale dell'operazione e quindi di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità.

Superbonus e pro-rata IVA: sconto in fattura “parziale”

L’Agenzia deIle Entrate ha chiarito che i soggetti che operano in regime pro-rata, a fronte delle spese ammesse al Superbonus possono esercitare l’opzione per lo sconto in fattura solo fino all’importo del corrispettivo dovuto al netto dell’IVA. (Risposta 15 marzo 2022, n. 118).

In tema di Superbonus l’Iva non detraibile, anche parzialmente, dovuta sulle spese agevolabili, si considera nel calcolo dell’ammontare complessivo ammesso al beneficio, indipendentemente dalla modalità di rilevazione contabile adottata dal contribuente.
In altri termini l’IVA non detraibile, anche parzialmente, costituisce una componente di costo degli interventi agevolabili da considerare ai fini della determinazione dell’ammontare complessivo ammesso al Superbonus.
In caso di soggetti che applicano il pro-rata IVA (soggetti che effettuano sia operazioni imponibili sia operazioni esenti), il diritto alla detrazione dell’IVA spetta in misura proporzionale alle operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione calcolata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno medesimo.
In corso d’anno, la detrazione è provvisoriamente operata con l’applicazione della percentuale di detrazione dell’anno precedente, salvo conguaglio alla fine dell’anno. I soggetti che iniziano l’attività operano la detrazione in base ad una percentuale di detrazione determinata presuntivamente, salvo conguaglio alla fine dell’anno.
Tale meccanismo di determinazione dell’Iva detraibile comporta che al momento di emissione delle fatture relative agli acquisti, l’IVA non detraibile è determinata in via provvisoria, in quanto la relativa entità non è puntualmente determinata.
Nel caso di spese ammesse al Superbonus, l’applicazione del pro-rata non consente di determinare la quota di Iva effettivamente indetraibile al momento di emissione delle fatture. Ne consegue, che qualora si intenda optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, per un contributo sotto forma di sconto in fattura anticipato dal fornitore, questo deve essere calcolato solo fino all’importo del corrispettivo dovuto al netto dell’IVA (sconto “parziale”).
Per la quota di IVA indetraibile è possibile beneficiare della detrazione del 110 per cento in sede di dichiarazione dei redditi, una volta determinata la percentuale di detrazione dell’anno, in relazione alla quota effettivamente rimasta a carico.

L’Agenzia deIle Entrate ha chiarito che i soggetti che operano in regime pro-rata, a fronte delle spese ammesse al Superbonus possono esercitare l’opzione per lo sconto in fattura solo fino all’importo del corrispettivo dovuto al netto dell’IVA. (Risposta 15 marzo 2022, n. 118).

In tema di Superbonus l’Iva non detraibile, anche parzialmente, dovuta sulle spese agevolabili, si considera nel calcolo dell'ammontare complessivo ammesso al beneficio, indipendentemente dalla modalità di rilevazione contabile adottata dal contribuente.
In altri termini l'IVA non detraibile, anche parzialmente, costituisce una componente di costo degli interventi agevolabili da considerare ai fini della determinazione dell'ammontare complessivo ammesso al Superbonus.
In caso di soggetti che applicano il pro-rata IVA (soggetti che effettuano sia operazioni imponibili sia operazioni esenti), il diritto alla detrazione dell'IVA spetta in misura proporzionale alle operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione calcolata in base al rapporto tra l'ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione, effettuate nell'anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell'anno medesimo.
In corso d'anno, la detrazione è provvisoriamente operata con l'applicazione della percentuale di detrazione dell'anno precedente, salvo conguaglio alla fine dell'anno. I soggetti che iniziano l'attività operano la detrazione in base ad una percentuale di detrazione determinata presuntivamente, salvo conguaglio alla fine dell'anno.
Tale meccanismo di determinazione dell’Iva detraibile comporta che al momento di emissione delle fatture relative agli acquisti, l'IVA non detraibile è determinata in via provvisoria, in quanto la relativa entità non è puntualmente determinata.
Nel caso di spese ammesse al Superbonus, l’applicazione del pro-rata non consente di determinare la quota di Iva effettivamente indetraibile al momento di emissione delle fatture. Ne consegue, che qualora si intenda optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione, per un contributo sotto forma di sconto in fattura anticipato dal fornitore, questo deve essere calcolato solo fino all'importo del corrispettivo dovuto al netto dell'IVA (sconto "parziale").
Per la quota di IVA indetraibile è possibile beneficiare della detrazione del 110 per cento in sede di dichiarazione dei redditi, una volta determinata la percentuale di detrazione dell'anno, in relazione alla quota effettivamente rimasta a carico.

Deducibilità del bonus condizionato e non rimborsabile concesso a clienti

Forniti chiarimenti sulla qualificazione di inerenza dei costi all’attività, in relazione al bonus condizionato e non rimborsabile concesso a clienti (Agenzia delle entrate – Risposta 14 marzo 2022, n. 115).

Ai sensi dell’art. 109, comma 5, del TUIR “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Le plusvalenze di cui all’articolo 87, non rilevano ai fini dell’applicazione del periodo precedente. (…)”
Nell’ambito delle norme generali sui componenti del reddito di impresa, la deducibilità delle componenti negative di reddito è subordinata all’esistenza di un rapporto di causa-effetto tra detti costi sostenuti dall’impresa e le attività o beni della stessa da cui siano generabili ricavi o altri proventi concorrenti alla formazione del reddito: in generale, quindi, sono inerenti le spese sostenute se e nella misura in cui siano idonee a produrre, anche in via potenziale, maggiori ricavi ed altri proventi non esenti. All’opposto, l’inerenza non è configurabile allorquando le spese sostenute siano riconducibili a finalità diverse da quelle proprie dell’impresa (ad esempio, spese personali o promiscue, per la parte non inerente), ovvero non idonee ab origine a produrre nuovi ricavi (ad esempio, liberalità, diverse da quelle ammesse in deduzione, o operazioni connotate da antieconomicità). Inoltre, occorre tenere conto del meccanismo del pro-rata al fine di escludere dalla deduzione le spese relative, anche in parte, ad attività o beni esenti da imposizione, senza tener conto delle plusvalenze di cui all’articolo 87 del TUIR.
La valutazione di inerenza deve, pertanto, essere effettuata verificando in concreto il collegamento delle spese con l’attività esercitata dall’impresa, le sue dimensioni e le sue esigenze promozionali. A tal fine, spetta al contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, nonché la valutazione dei requisiti dell’inerenza e dell’imputazione ad attività produttive di ricavi ed altri proventi.
Il requisito di inerenza rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente in ordine alla possibilità di dedurre in tutto o in parte componenti negative di reddito, considerato il dispositivo delle ulteriori norme contenute nel TUIR che subordinano, limitano o rinviano la deducibilità delle componenti negative, determinando il trattamento fiscale applicabile al caso concreto.
Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla disciplina delle spese di rappresentanza ai sensi dell’art. 108, comma 2, del TUIR, la cui deducibilità, subordinata alla rispondenza «ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse», è commisurata in percentuale all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa.

Con riferimento al caso di specie, la società istante fa parte di un gruppo che opera a livello mondiale prevalentemente nei servizi finanziari, di pagamento e di viaggio; la società svolge attività in Italia nel campo delle carte di credito (emissione e gestione di carte di credito) ed attività accessorie.
Nell’ambito delle iniziative per i Titoli di Carta particolarmente colpiti dalla repentina crisi economica in periodo di lock-down e quindi a particolare rischio di estinzione del rapporto, sono stati identificati i titolari di Carta Z delle piccole imprese (Small Business Card). Al fine di contribuire da un lato a mantenere in vita il rapporto con il titolare di carta ed altresì al fine mantenere una propensione alla spesa del Titolare di Carta , la Società ha deciso di concedere unilateralmente ma a determinate condizioni un particolare incentivo esclusivamente a detti soggetti. Tale incentivo viene concesso una tantum per il solo periodo anno 2020.

L’iniziativa descritta dall’istante presenta i caratteri di un’operazione di promozione commerciale che, in linea di principio, risulta soddisfare il principio di inerenza.
In particolare, le circostanze che hanno condotto a riconoscere il beneficio ad una categoria di clienti in presenza di un rischio significativo di estinzione del rapporto (stante la maggiore onerosità del servizio in relazione alla tipologia di cliente) e le modalità di riconoscimento dell’incentivo (ossia, un bonus non rimborsabile e condizionato al rinnovo annuale mediante pagamento della quota) appaiono idonei a produrre potenzialmente effetti in termini di maggiori ricavi caratteristici derivanti dalle quote annuali versate dai beneficiari della promozione e dalle commissioni di billing credit che la società percepisce in relazione alle transazioni effettuate dai titolari delle carte di credito in esame.
Le medesime considerazioni sono estensibili ai fini IRAP tenendo conto che, in tal caso, ai fini della deducibilità, risulta dirimente lo specifico sistema di determinazione della base imponibile, fondato sul principio di presa diretta dal bilancio e conseguente sganciamento dalle regole di determinazione dell’IRES.
Nello specifico, ai fini IRAP si renderà applicabile, nel presupposto della correttezza dei criteri di qualificazione, classificazione ed imputazione temporale del componente in bilancio, l’articolo 6, comma 1, lett. c) del decreto IRAP, in virtù del quale alla determinazione del valore della produzione netta delle banche e altri enti e società finanziarie indicati nell’articolo 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, concorrono le “altre spese amministrative per un importo pari al 90 per cento”.

Forniti chiarimenti sulla qualificazione di inerenza dei costi all'attività, in relazione al bonus condizionato e non rimborsabile concesso a clienti (Agenzia delle entrate - Risposta 14 marzo 2022, n. 115).

Ai sensi dell'art. 109, comma 5, del TUIR "Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Le plusvalenze di cui all'articolo 87, non rilevano ai fini dell'applicazione del periodo precedente. (...)"
Nell'ambito delle norme generali sui componenti del reddito di impresa, la deducibilità delle componenti negative di reddito è subordinata all'esistenza di un rapporto di causa-effetto tra detti costi sostenuti dall'impresa e le attività o beni della stessa da cui siano generabili ricavi o altri proventi concorrenti alla formazione del reddito: in generale, quindi, sono inerenti le spese sostenute se e nella misura in cui siano idonee a produrre, anche in via potenziale, maggiori ricavi ed altri proventi non esenti. All'opposto, l'inerenza non è configurabile allorquando le spese sostenute siano riconducibili a finalità diverse da quelle proprie dell'impresa (ad esempio, spese personali o promiscue, per la parte non inerente), ovvero non idonee ab origine a produrre nuovi ricavi (ad esempio, liberalità, diverse da quelle ammesse in deduzione, o operazioni connotate da antieconomicità). Inoltre, occorre tenere conto del meccanismo del pro-rata al fine di escludere dalla deduzione le spese relative, anche in parte, ad attività o beni esenti da imposizione, senza tener conto delle plusvalenze di cui all'articolo 87 del TUIR.
La valutazione di inerenza deve, pertanto, essere effettuata verificando in concreto il collegamento delle spese con l'attività esercitata dall'impresa, le sue dimensioni e le sue esigenze promozionali. A tal fine, spetta al contribuente l'onere della prova circa l'esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, nonché la valutazione dei requisiti dell'inerenza e dell'imputazione ad attività produttive di ricavi ed altri proventi.
Il requisito di inerenza rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente in ordine alla possibilità di dedurre in tutto o in parte componenti negative di reddito, considerato il dispositivo delle ulteriori norme contenute nel TUIR che subordinano, limitano o rinviano la deducibilità delle componenti negative, determinando il trattamento fiscale applicabile al caso concreto.
Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla disciplina delle spese di rappresentanza ai sensi dell'art. 108, comma 2, del TUIR, la cui deducibilità, subordinata alla rispondenza «ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse», è commisurata in percentuale all'ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell'impresa.

Con riferimento al caso di specie, la società istante fa parte di un gruppo che opera a livello mondiale prevalentemente nei servizi finanziari, di pagamento e di viaggio; la società svolge attività in Italia nel campo delle carte di credito (emissione e gestione di carte di credito) ed attività accessorie.
Nell'ambito delle iniziative per i Titoli di Carta particolarmente colpiti dalla repentina crisi economica in periodo di lock-down e quindi a particolare rischio di estinzione del rapporto, sono stati identificati i titolari di Carta Z delle piccole imprese (Small Business Card). Al fine di contribuire da un lato a mantenere in vita il rapporto con il titolare di carta ed altresì al fine mantenere una propensione alla spesa del Titolare di Carta , la Società ha deciso di concedere unilateralmente ma a determinate condizioni un particolare incentivo esclusivamente a detti soggetti. Tale incentivo viene concesso una tantum per il solo periodo anno 2020.

L'iniziativa descritta dall'istante presenta i caratteri di un'operazione di promozione commerciale che, in linea di principio, risulta soddisfare il principio di inerenza.
In particolare, le circostanze che hanno condotto a riconoscere il beneficio ad una categoria di clienti in presenza di un rischio significativo di estinzione del rapporto (stante la maggiore onerosità del servizio in relazione alla tipologia di cliente) e le modalità di riconoscimento dell'incentivo (ossia, un bonus non rimborsabile e condizionato al rinnovo annuale mediante pagamento della quota) appaiono idonei a produrre potenzialmente effetti in termini di maggiori ricavi caratteristici derivanti dalle quote annuali versate dai beneficiari della promozione e dalle commissioni di billing credit che la società percepisce in relazione alle transazioni effettuate dai titolari delle carte di credito in esame.
Le medesime considerazioni sono estensibili ai fini IRAP tenendo conto che, in tal caso, ai fini della deducibilità, risulta dirimente lo specifico sistema di determinazione della base imponibile, fondato sul principio di presa diretta dal bilancio e conseguente sganciamento dalle regole di determinazione dell'IRES.
Nello specifico, ai fini IRAP si renderà applicabile, nel presupposto della correttezza dei criteri di qualificazione, classificazione ed imputazione temporale del componente in bilancio, l'articolo 6, comma 1, lett. c) del decreto IRAP, in virtù del quale alla determinazione del valore della produzione netta delle banche e altri enti e società finanziarie indicati nell'articolo 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, concorrono le "altre spese amministrative per un importo pari al 90 per cento".

Bonus Farmacie: pronto il codice tributo

Istituito il codice tributo per l’utilizzo in compensazione, tramite il modello F24, del credito d’imposta a favore delle farmacie per l’acquisto e il noleggio di apparecchiature di telemedicina (Agenzia Entrate – risoluzione 14 marzo 2022, n. 11).

L’art. 19-septies, D.L. n. 137/2020, conv., con modif., dalla L. n. 176/2020, ha previsto il riconoscimento a favore delle farmacie di un contributo sotto forma di credito d’imposta nella misura del 50% delle spese per l’acquisto e il noleggio, nell’anno 2021, di apparecchiature necessarie per l’effettuazione di prestazioni di telemedicina.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, mediante modello F24 da presentare, esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento, a decorrere dal giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata data comunicazione al beneficiario del riconoscimento del credito da parte del Ministero della salute.
In tal senso, per consentire l’utilizzo in compensazione, tramite modello F24, del credito d’imposta, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il seguente codice tributo:
– “6959” denominato “credito d’imposta a favore delle farmacie per favorire l’accesso a prestazioni di telemedicina nei piccoli centri – art. 19-septies del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137”.

In sede di compilazione del modello F24, il suddetto codice tributo deve essere esposto nella sezione “Erario”, nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” è indicato l’anno di riconoscimento del credito d’imposta, nel formato “AAAA”.
Il Ministero della salute trasmette all’Agenzia delle entrate, entro il giorno 5 di ciascun mese e con modalità telematiche definite d’intesa, l’elenco dei soggetti che nel mese precedente sono stati ammessi a fruire dell’agevolazione e l’importo del credito d’imposta concesso, nonché le eventuali variazioni e revoche, anche parziali.
L’Agenzia delle entrate in fase di elaborazione dei modelli F24 presentati dai contribuenti, verifica che i contribuenti stessi siano presenti nell’elenco dei beneficiari trasmesso dal Ministero della salute e che l’ammontare del credito d’imposta utilizzato in compensazione non ecceda l’importo indicato in tale elenco, pena lo scarto del modello F24, tenendo conto anche delle eventuali variazioni e revoche successivamente trasmesse dallo stesso Ministero.
L’ammontare complessivo del credito d’imposta utilizzabile in compensazione può essere consultato dai soggetti beneficiari accedendo al “cassetto fiscale” attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate.

Istituito il codice tributo per l’utilizzo in compensazione, tramite il modello F24, del credito d’imposta a favore delle farmacie per l’acquisto e il noleggio di apparecchiature di telemedicina (Agenzia Entrate - risoluzione 14 marzo 2022, n. 11).

L’art. 19-septies, D.L. n. 137/2020, conv., con modif., dalla L. n. 176/2020, ha previsto il riconoscimento a favore delle farmacie di un contributo sotto forma di credito d'imposta nella misura del 50% delle spese per l'acquisto e il noleggio, nell'anno 2021, di apparecchiature necessarie per l'effettuazione di prestazioni di telemedicina.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, mediante modello F24 da presentare, esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento, a decorrere dal giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata data comunicazione al beneficiario del riconoscimento del credito da parte del Ministero della salute.
In tal senso, per consentire l’utilizzo in compensazione, tramite modello F24, del credito d’imposta, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il seguente codice tributo:
- "6959" denominato "credito d’imposta a favore delle farmacie per favorire l’accesso a prestazioni di telemedicina nei piccoli centri – art. 19-septies del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137".

In sede di compilazione del modello F24, il suddetto codice tributo deve essere esposto nella sezione "Erario", nella colonna "importi a credito compensati", ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna "importi a debito versati". Nel campo "anno di riferimento" è indicato l’anno di riconoscimento del credito d’imposta, nel formato "AAAA".
Il Ministero della salute trasmette all'Agenzia delle entrate, entro il giorno 5 di ciascun mese e con modalità telematiche definite d'intesa, l'elenco dei soggetti che nel mese precedente sono stati ammessi a fruire dell'agevolazione e l'importo del credito d'imposta concesso, nonché le eventuali variazioni e revoche, anche parziali.
L’Agenzia delle entrate in fase di elaborazione dei modelli F24 presentati dai contribuenti, verifica che i contribuenti stessi siano presenti nell’elenco dei beneficiari trasmesso dal Ministero della salute e che l’ammontare del credito d’imposta utilizzato in compensazione non ecceda l’importo indicato in tale elenco, pena lo scarto del modello F24, tenendo conto anche delle eventuali variazioni e revoche successivamente trasmesse dallo stesso Ministero.
L’ammontare complessivo del credito d’imposta utilizzabile in compensazione può essere consultato dai soggetti beneficiari accedendo al "cassetto fiscale" attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate.

Bonus per impianti di compostaggio presso centri agroalimentari

Definite le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta riconosciuto per le spese sostenute per l’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, e approvato il modello di comunicazione con le relative istruzioni (AGENZIA DELLE ENTRATE – Provvedimento 14 marzo 2022, n. 80989)

La legge di bilancio per il 2022 ha previsto un credito d’imposta per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2022, relative all’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. L’agevolazione è richiesta dal gestore del centro agroalimentare purché l’impianto di compostaggio possa smaltire almeno il 70 per cento dei rifiuti organici (rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, uffici, attività all’ingrosso, mense, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e rifiuti equiparabili prodotti dagli impianti dell’industria alimentare) prodotti dal medesimo centro agroalimentare (articolo 1, commi da 831 a 834, della legge 30 dicembre 2021, n. 234).
Il credito d’imposta è attribuito nella misura del 70 per cento delle spese documentate, rimaste a carico del contribuente, sostenute entro il 31 dicembre 2022.
L’agevolazione si applica nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dal regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis”.
Il provvedimento in oggetto definisce le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta, al fine del rispetto del limite di spesa pari a 1 milione di euro per l’anno 2023, e approva il modello di Comunicazione, con le relative istruzioni, da presentare all’Agenzia delle entrate per beneficiare del credito d’imposta.
In particolare, è previsto che la Comunicazione delle spese sostenute sia effettuata nell’anno 2023, nei termini che saranno definiti con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Tenuto conto dell’esigenza espressa dal legislatore di garantire il rispetto del limite di spesa, dopo aver ricevuto le comunicazioni degli importi, l’Agenzia determina la quota percentuale del credito effettivamente fruibile, in rapporto alle risorse disponibili. La suddetta percentuale sarà resa nota con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro 10 giorni dalla scadenza dei termini di presentazione.
Al fine di consentire all’Agenzia delle entrate la verifica del rispetto limite di spesa, il credito d’imposta è utilizzabile dai beneficiari esclusivamente in compensazione.

Definite le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta riconosciuto per le spese sostenute per l'installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, e approvato il modello di comunicazione con le relative istruzioni (AGENZIA DELLE ENTRATE - Provvedimento 14 marzo 2022, n. 80989)

La legge di bilancio per il 2022 ha previsto un credito d’imposta per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2022, relative all’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. L’agevolazione è richiesta dal gestore del centro agroalimentare purché l’impianto di compostaggio possa smaltire almeno il 70 per cento dei rifiuti organici (rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, uffici, attività all'ingrosso, mense, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e rifiuti equiparabili prodotti dagli impianti dell'industria alimentare) prodotti dal medesimo centro agroalimentare (articolo 1, commi da 831 a 834, della legge 30 dicembre 2021, n. 234).
Il credito d’imposta è attribuito nella misura del 70 per cento delle spese documentate, rimaste a carico del contribuente, sostenute entro il 31 dicembre 2022.
L’agevolazione si applica nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dal regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti "de minimis".
Il provvedimento in oggetto definisce le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta, al fine del rispetto del limite di spesa pari a 1 milione di euro per l’anno 2023, e approva il modello di Comunicazione, con le relative istruzioni, da presentare all’Agenzia delle entrate per beneficiare del credito d’imposta.
In particolare, è previsto che la Comunicazione delle spese sostenute sia effettuata nell’anno 2023, nei termini che saranno definiti con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Tenuto conto dell’esigenza espressa dal legislatore di garantire il rispetto del limite di spesa, dopo aver ricevuto le comunicazioni degli importi, l’Agenzia determina la quota percentuale del credito effettivamente fruibile, in rapporto alle risorse disponibili. La suddetta percentuale sarà resa nota con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro 10 giorni dalla scadenza dei termini di presentazione.
Al fine di consentire all’Agenzia delle entrate la verifica del rispetto limite di spesa, il credito d’imposta è utilizzabile dai beneficiari esclusivamente in compensazione.

Deducibilità contributi recuperati dall’Inps per indebita applicazione massimale contributivo

L’Agenzia deIle Entrate ha chiarito che i contributi previdenziali pregressi per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps con diffida nei confronti dell’ex datore di lavoro, sono deducibili nel periodo d’imposta in cui sono effettivamente rimborsati all’ex datore di lavoro. L’onere può essere documentato dalla CU rilasciata dall’ex datore di lavoro con l’inserimento di un’annotazione a contenuto libero con il codice ZZ (Risposta 15 marzo 2022, n. 117).

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda la deducibilità dei contributi pregressi dovuti per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps nei confronti dell’ex datore di lavoro mediante diffida per omissione contributiva.
Nella fattispecie, l’omissione è stata determinata dalla mancata comunicazione al datore di lavoro dell’esistenza di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva antecedenti il 1° gennaio 1996 (versamenti contributivi figurativi per il servizio di leva).
Le norme in materia previdenziale infatti prevedono l’applicazione di un massimale annuo della base contributiva e pensionabile per i lavoratori che si iscrivono a forme pensionistiche obbligatorie a far data dal 1°gennaio 1996 (cd. “nuovi iscritti”) e privi di anzianità contributiva precedente. Per coloro che vantano anzianità contributiva già maturata in forme pensionistiche obbligatorie entro il 31 dicembre 1995 (cd. “vecchi iscritti”), il citato massimale annuo non trova applicazione con la conseguenza che l’intera retribuzione imponibile viene assoggettata a contribuzione previdenziale. A tal fine il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro la propria posizione previdenziale.

L’Agenzia delle Entrate ha osservato che la maggior quota contributiva a carico del contribuente, derivante dall’erronea applicazione del massimale contributivo, che lo stesso è tenuto a restituire all’ex datore di lavoro, costituisce sostanzialmente un’integrazione di contributi obbligatori per legge, a suo tempo non versati.
Pertanto rientrano tra i “contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge” che le disposizioni in materia di IRPEF annoverano tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo, ai fini della determinazione della base imponibile ai fini IRPEF.
L’Agenzia delle Entrate precisa che detti oneri si deducono secondo il criterio di cassa. Pertanto, ai fini della deducibilità, occorre fare riferimento al periodo di imposta in cui il lavoratore (contribuente) rimborsa tali oneri all’ex datore di lavoro e non all’annualità in cui l’ex datore di lavoro è stato chiamato a versare (ed ha versato) la maggior quota contributiva a carico del dipendente regolarizzando le omissioni contributive obbligatorie.
I contributi in questione, pertanto, vanno indicati nel rigo della dichiarazione dei redditi dedicato ai “Contributi previdenziali e assistenziali” relativa al periodo d’imposta in cui tali contributi sono restituiti all’ex datore di lavoro (Rigo E21).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, il sostenimento dell’onere può essere documentato mediante una certificazione unica (CU) rilasciata dall’ex datore di lavoro che attesti le somme oggetto di deduzione con l’inserimento di un’annotazione a contenuto libero (con il codice ZZ).

L’Agenzia deIle Entrate ha chiarito che i contributi previdenziali pregressi per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps con diffida nei confronti dell’ex datore di lavoro, sono deducibili nel periodo d’imposta in cui sono effettivamente rimborsati all’ex datore di lavoro. L’onere può essere documentato dalla CU rilasciata dall'ex datore di lavoro con l'inserimento di un'annotazione a contenuto libero con il codice ZZ (Risposta 15 marzo 2022, n. 117).

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda la deducibilità dei contributi pregressi dovuti per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps nei confronti dell’ex datore di lavoro mediante diffida per omissione contributiva.
Nella fattispecie, l’omissione è stata determinata dalla mancata comunicazione al datore di lavoro dell'esistenza di periodi utili o utilizzabili ai fini dell'anzianità contributiva antecedenti il 1° gennaio 1996 (versamenti contributivi figurativi per il servizio di leva).
Le norme in materia previdenziale infatti prevedono l'applicazione di un massimale annuo della base contributiva e pensionabile per i lavoratori che si iscrivono a forme pensionistiche obbligatorie a far data dal 1°gennaio 1996 (cd. "nuovi iscritti") e privi di anzianità contributiva precedente. Per coloro che vantano anzianità contributiva già maturata in forme pensionistiche obbligatorie entro il 31 dicembre 1995 (cd. "vecchi iscritti"), il citato massimale annuo non trova applicazione con la conseguenza che l'intera retribuzione imponibile viene assoggettata a contribuzione previdenziale. A tal fine il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro la propria posizione previdenziale.

L’Agenzia delle Entrate ha osservato che la maggior quota contributiva a carico del contribuente, derivante dall'erronea applicazione del massimale contributivo, che lo stesso è tenuto a restituire all'ex datore di lavoro, costituisce sostanzialmente un'integrazione di contributi obbligatori per legge, a suo tempo non versati.
Pertanto rientrano tra i "contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge" che le disposizioni in materia di IRPEF annoverano tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo, ai fini della determinazione della base imponibile ai fini IRPEF.
L’Agenzia delle Entrate precisa che detti oneri si deducono secondo il criterio di cassa. Pertanto, ai fini della deducibilità, occorre fare riferimento al periodo di imposta in cui il lavoratore (contribuente) rimborsa tali oneri all'ex datore di lavoro e non all'annualità in cui l'ex datore di lavoro è stato chiamato a versare (ed ha versato) la maggior quota contributiva a carico del dipendente regolarizzando le omissioni contributive obbligatorie.
I contributi in questione, pertanto, vanno indicati nel rigo della dichiarazione dei redditi dedicato ai "Contributi previdenziali e assistenziali" relativa al periodo d'imposta in cui tali contributi sono restituiti all'ex datore di lavoro (Rigo E21).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, il sostenimento dell'onere può essere documentato mediante una certificazione unica (CU) rilasciata dall'ex datore di lavoro che attesti le somme oggetto di deduzione con l'inserimento di un'annotazione a contenuto libero (con il codice ZZ).

Terzo Settore: regime di incompatibilità tra volontario e rapporto di lavoro

In attuazione della disciplina del codice del Terzo Settore, forniti chiarimenti sul regime di incompatibilità tra volontario e rapporto di lavoro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Nota 10 marzo 2022, n. 4011).

Nello specifico, è stato chiesto se il rapporto di lavoro intercorrente tra un determinato soggetto e un Comitato Regionale sia o meno compatibile con l’attività che il medesimo soggetto svolga in qualità di volontario presso (un ente di base) o un Comitato Regionale di diversa Regione appartenente alla medesima rete nazionale, considerata la distinzione esistente tra il datore di lavoro e l’ente presso il quale il volontario opera e la reciproca autonomia.
L’articolo 17 comma 5 del Codice del Terzo settore sancisce il principio della incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria, prevedendo altresì una deroga limitata alla legislazione delle province autonome di Trento e Bolzano di cui all’integrazione apportata dall’articolo 5 comma 1, lett. a) del d.lgs. 105/2018.
La previsione ha quindi portata ampia e generalizzata, come si evince dal tenore generale della stessa, che fa riferimento a “qualsiasi rapporto di lavoro” e ricomprende anche le entità tramite le quali il socio o associato svolge la propria attività di volontario. Essa va coerentemente rapportata al più ampio inquadramento fornito dai commi 2 e 3 dello stesso articolo 17, secondo cui nel definire il volontario viene innanzitutto evidenziato quale requisito caratterizzante quello della libera scelta, della personalità, spontaneità, gratuità e dell’assenza di finalità di lucro, neanche indirette; in secondo luogo, si prescrive che l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo, vietando altresì rimborsi spese di tipo forfetario.
Tali prescrizioni rispondono alla finalità di valorizzare la libera scelta della persona come consapevole, informata e non condizionata da uno stato di bisogno, onde preservare la genuinità dell’attività tipica di volontariato, finalizzata a soddisfare bisogni altrui che vadano a beneficio della comunità e del bene comune e non di interessi specifici o di parte, sicché l’attività di volontariato esula da qualunque vincolo di natura obbligatoria. Il volontario deve potersi sentire sempre libero di recedere dalla propria scelta, revocando in qualsiasi momento la disponibilità dimostrata, senza condizioni o penali, poiché la sua attività risponde esclusivamente ad un vincolo morale. Al contempo, infine, il citato articolo 17 comma 5 intende assicurare una tutela del lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle caratteristiche sopra delineate della volontarietà.
Le disposizioni sopra richiamate devono essere poste in relazione con la profilazione organizzativa in cui ciascuna delle entità componenti di una struttura complessa come una rete associativa o un analogo ente associativo di secondo livello sono caratterizzati, anche sotto il profilo statutario, da autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale e operativa.
Quanto sopra considerato, sotto il profilo formale non appare ravvisabile una situazione di contrarietà della situazione prospettata nel quesito rispetto al dettato dell’art. 17, comma 5 del Codice del Terzo settore, considerato che l’ente datore di lavoro e l’ente che si avvale dell’operato volontario, con riferimento alla medesima persona, risultano a tutti gli effetti soggetti distinti e separati.

In attuazione della disciplina del codice del Terzo Settore, forniti chiarimenti sul regime di incompatibilità tra volontario e rapporto di lavoro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Nota 10 marzo 2022, n. 4011).

Nello specifico, è stato chiesto se il rapporto di lavoro intercorrente tra un determinato soggetto e un Comitato Regionale sia o meno compatibile con l’attività che il medesimo soggetto svolga in qualità di volontario presso (un ente di base) o un Comitato Regionale di diversa Regione appartenente alla medesima rete nazionale, considerata la distinzione esistente tra il datore di lavoro e l'ente presso il quale il volontario opera e la reciproca autonomia.
L’articolo 17 comma 5 del Codice del Terzo settore sancisce il principio della incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria, prevedendo altresì una deroga limitata alla legislazione delle province autonome di Trento e Bolzano di cui all’integrazione apportata dall’articolo 5 comma 1, lett. a) del d.lgs. 105/2018.
La previsione ha quindi portata ampia e generalizzata, come si evince dal tenore generale della stessa, che fa riferimento a "qualsiasi rapporto di lavoro" e ricomprende anche le entità tramite le quali il socio o associato svolge la propria attività di volontario. Essa va coerentemente rapportata al più ampio inquadramento fornito dai commi 2 e 3 dello stesso articolo 17, secondo cui nel definire il volontario viene innanzitutto evidenziato quale requisito caratterizzante quello della libera scelta, della personalità, spontaneità, gratuità e dell'assenza di finalità di lucro, neanche indirette; in secondo luogo, si prescrive che l'attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo, vietando altresì rimborsi spese di tipo forfetario.
Tali prescrizioni rispondono alla finalità di valorizzare la libera scelta della persona come consapevole, informata e non condizionata da uno stato di bisogno, onde preservare la genuinità dell'attività tipica di volontariato, finalizzata a soddisfare bisogni altrui che vadano a beneficio della comunità e del bene comune e non di interessi specifici o di parte, sicché l'attività di volontariato esula da qualunque vincolo di natura obbligatoria. Il volontario deve potersi sentire sempre libero di recedere dalla propria scelta, revocando in qualsiasi momento la disponibilità dimostrata, senza condizioni o penali, poiché la sua attività risponde esclusivamente ad un vincolo morale. Al contempo, infine, il citato articolo 17 comma 5 intende assicurare una tutela del lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle caratteristiche sopra delineate della volontarietà.
Le disposizioni sopra richiamate devono essere poste in relazione con la profilazione organizzativa in cui ciascuna delle entità componenti di una struttura complessa come una rete associativa o un analogo ente associativo di secondo livello sono caratterizzati, anche sotto il profilo statutario, da autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale e operativa.
Quanto sopra considerato, sotto il profilo formale non appare ravvisabile una situazione di contrarietà della situazione prospettata nel quesito rispetto al dettato dell'art. 17, comma 5 del Codice del Terzo settore, considerato che l’ente datore di lavoro e l'ente che si avvale dell'operato volontario, con riferimento alla medesima persona, risultano a tutti gli effetti soggetti distinti e separati.

“Dopo di noi”: nessuna esclusione dall’esenzione per gli atti mortis causa

Il conferimento di beni al fondo speciale, costituito esclusivamente a favore della figlia con grave disabilità, secondo le previsioni della legge “Dopo di noi”, è esente dall’imposta sulle successioni e donazioni, anche nel caso in cui tale destinazione è disposta con atto mortis causa in sede di successione (Agenzia Entrate – risposta 11 marzo 2022, n. 103).

La L. n. 112/2016 è volta ad agevolare disabilità gravi prive del sostegno familiare e le erogazioni da parte di soggetti privati, la stipula di polizze di assicurazione e la costituzione di trust, di vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario  in favore di persone con disabilità grave.
L’art. 6, co. 1 della medesima legge prevede che i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione ovvero destinati a fondi speciali, istituiti in favore delle persone con disabilità grave, sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’art. 2, co. da 47 a 49, D.L. n. 262/2006.
Ai sensi del comma 2 le esenzioni e le agevolazioni sono ammesse a condizione che il trust ovvero i fondi speciali ovvero il vincolo di destinazione perseguano come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti.
Le esenzioni e le agevolazioni disposte nello stesso articolo 6 sono ammesse se sussistono, inoltre, congiuntamente, anche tutte le ulteriori condizioni richieste dalla legge ed indicate nel prosieguo dell’articolo 6.
Detto questo, il caso di specie riguarda un contribuente intenzionato, congiuntamente al proprio coniuge, a costituire un “fondo speciale” disciplinato da un contratto di affidamento fiduciario, avente come beneficiaria esclusiva la figlia affetta da disabilità grave, avvalendosi delle disposizioni agevolative di cui alla predetta legge.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato che risulta applicabile l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’art. 6, L. n. 112/2016, anche nel caso in cui tale destinazione sia effettuata con un atto mortis causa mediante il quale il contribuente e il coniuge, in sede di successione, dispongano a favore del predetto fondo speciale.
Tale soluzione tiene conto del dato testuale dell’art. 6 che richiama genericamente i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. ovvero destinati a fondi speciali senza specificare quali siano gli atti con cui tali conferimenti o destinazioni debbano essere effettuati.
Conseguentemente, in assenza di una esplicita esclusione per gli atti mortis causa, è possibile applicare tale esenzione, indipendentemente dal fatto che si tratti di atti tra vivi o a causa di morte, e pertanto anche ai conferimenti e destinazioni attuate mediante atti mortis causa, ferme restando tutte le altre prescrizioni indicate dalla norma in esame.

Il conferimento di beni al fondo speciale, costituito esclusivamente a favore della figlia con grave disabilità, secondo le previsioni della legge "Dopo di noi", è esente dall’imposta sulle successioni e donazioni, anche nel caso in cui tale destinazione è disposta con atto mortis causa in sede di successione (Agenzia Entrate - risposta 11 marzo 2022, n. 103).

La L. n. 112/2016 è volta ad agevolare disabilità gravi prive del sostegno familiare e le erogazioni da parte di soggetti privati, la stipula di polizze di assicurazione e la costituzione di trust, di vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario  in favore di persone con disabilità grave.
L’art. 6, co. 1 della medesima legge prevede che i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione ovvero destinati a fondi speciali, istituiti in favore delle persone con disabilità grave, sono esenti dall'imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'art. 2, co. da 47 a 49, D.L. n. 262/2006.
Ai sensi del comma 2 le esenzioni e le agevolazioni sono ammesse a condizione che il trust ovvero i fondi speciali ovvero il vincolo di destinazione perseguano come finalità esclusiva l'inclusione sociale, la cura e l'assistenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti.
Le esenzioni e le agevolazioni disposte nello stesso articolo 6 sono ammesse se sussistono, inoltre, congiuntamente, anche tutte le ulteriori condizioni richieste dalla legge ed indicate nel prosieguo dell'articolo 6.
Detto questo, il caso di specie riguarda un contribuente intenzionato, congiuntamente al proprio coniuge, a costituire un "fondo speciale" disciplinato da un contratto di affidamento fiduciario, avente come beneficiaria esclusiva la figlia affetta da disabilità grave, avvalendosi delle disposizioni agevolative di cui alla predetta legge.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato che risulta applicabile l'esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'art. 6, L. n. 112/2016, anche nel caso in cui tale destinazione sia effettuata con un atto mortis causa mediante il quale il contribuente e il coniuge, in sede di successione, dispongano a favore del predetto fondo speciale.
Tale soluzione tiene conto del dato testuale dell'art. 6 che richiama genericamente i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. ovvero destinati a fondi speciali senza specificare quali siano gli atti con cui tali conferimenti o destinazioni debbano essere effettuati.
Conseguentemente, in assenza di una esplicita esclusione per gli atti mortis causa, è possibile applicare tale esenzione, indipendentemente dal fatto che si tratti di atti tra vivi o a causa di morte, e pertanto anche ai conferimenti e destinazioni attuate mediante atti mortis causa, ferme restando tutte le altre prescrizioni indicate dalla norma in esame.