Contributi o liberalità a favore della ricerca scientifica deducibili dal reddito delle società

Individuazione delle fondazioni e associazioni aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica alle quali si rendono applicabili le disposizioni sulla deducibilità dal reddito. (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Decreto 07 luglio 2022)

Sono deducibili dal reddito del soggetto erogante (art. 1, comma 353 della legge 23 dicembre 2005, n. 266) i fondi trasferiti dalle società e dagli altri soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società, a titolo di contributo o liberalità, in favore delle fondazioni e associazioni regolarmente riconosciute, a norma del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate, ai soli fini fiscali in apposito allegato, che forma parte integrante e sostanziale del decreto in oggetto e può essere soggetto a revisione annuale.

Individuazione delle fondazioni e associazioni aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica alle quali si rendono applicabili le disposizioni sulla deducibilità dal reddito. (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - Decreto 07 luglio 2022)

Sono deducibili dal reddito del soggetto erogante (art. 1, comma 353 della legge 23 dicembre 2005, n. 266) i fondi trasferiti dalle società e dagli altri soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, a titolo di contributo o liberalità, in favore delle fondazioni e associazioni regolarmente riconosciute, a norma del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate, ai soli fini fiscali in apposito allegato, che forma parte integrante e sostanziale del decreto in oggetto e può essere soggetto a revisione annuale.

Staking di criptovalute: compilazione del modello Redditi

I redditi derivanti dall’attività di staking di criptovalute devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella sezione I-A “Redditi di capitale” del Quadro RL del Modello Redditi (Agenzia Entrate – risposta 26 agosto 2022 n. 437).

L’Agenzia delle Entrate ha fornito un nuovo parere sul trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti dalla detenzione di cripto-valute a rettifica della risposta del 24 agosto 2022 n. 433.

Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di “staking”, ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto a fronte del “vincolo di disponibilità” delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, è applicabile quanto previsto dall’art. 44, co. 1, lett. h), Tuir.

Tale norma dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.

Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.

Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.

Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’art. 820 c.c. e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.

Detto questo, le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking sono soggette ad imposizione del cit. art. 44 e se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta nella misura del 26% ai sensi dell’art. 26, co. 5, D.P.R. n. 600/1973.

Nel caso di specie, tali remunerazioni devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella Sezione I-A “Redditi di capitale” del Quadro RL del Modello Redditi.

Con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, l’art. 4, D.L. n. 167/1990 prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi.

Nella circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E è stato precisato che il medesimo obbligo sussiste anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.

Nel caso in esame, tenuto conto che il contribuente detiene il wallet presso una Società italiana non è tenuto agli obblighi di monitoraggio fiscale, né tanto meno al pagamento dell’IVAFE.

I redditi derivanti dall'attività di staking di criptovalute devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d'acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella sezione I-A "Redditi di capitale" del Quadro RL del Modello Redditi (Agenzia Entrate - risposta 26 agosto 2022 n. 437).

L’Agenzia delle Entrate ha fornito un nuovo parere sul trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti dalla detenzione di cripto-valute a rettifica della risposta del 24 agosto 2022 n. 433.

Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di "staking", ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto a fronte del "vincolo di disponibilità" delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, è applicabile quanto previsto dall'art. 44, co. 1, lett. h), Tuir.

Tale norma dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.

Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.

Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l'esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.

Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell'art. 820 c.c. e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.

Detto questo, le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell'attività d'impresa, per l'attività di staking sono soggette ad imposizione del cit. art. 44 e se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest'ultima è tenuta all'applicazione della ritenuta nella misura del 26% ai sensi dell'art. 26, co. 5, D.P.R. n. 600/1973.

Nel caso di specie, tali remunerazioni devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d'acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella Sezione I-A "Redditi di capitale" del Quadro RL del Modello Redditi.

Con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, l'art. 4, D.L. n. 167/1990 prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia che, nel periodo d'imposta, detengono investimenti all'estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi.

Nella circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E è stato precisato che il medesimo obbligo sussiste anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.

Nel caso in esame, tenuto conto che il contribuente detiene il wallet presso una Società italiana non è tenuto agli obblighi di monitoraggio fiscale, né tanto meno al pagamento dell'IVAFE.

Rimborsi accisa sul gas naturale e sull’energia elettrica:nuovo indirizzo applicativo

In materia di rimborso del credito ex art. 14, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 504/1995 originato dal meccanismo di applicazione dell’accisa sul gas naturale e sull’energia elettrica ha trovato consolidamento negli ultimi anni un orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione teso a superare le conseguenze derivanti dalla rigidità del termine decadenziale biennale ai fini dell’utilizzo del credito maturato per eccedenze dei versamenti in acconto (Agenzia delle dogane e dei monopoli – Nota 17 agosto 2022, n. 379481/RU).

A seguito di diverse pronunce rese a partire dal 2019 si è venuto affermando l’indirizzo interpretativo secondo il quale, nei due suddetti settori d’imposta, alla chiusura annuale di ciascun periodo oggetto di dichiarazione si determina, per quanto qui interessa, un nuovo saldo creditorio, che va a costituire un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati e che si protrae fino all’esaurimento dello stesso o fino alla definizione del rapporto tributario.
Valutata l’opportunità di prestare adesione al predetto orientamento, si evidenzia quindi che non vi è decadenza biennale del rimborso di accisa se:
– il rapporto tributario è in corso;
– il credito è riportato nelle successive dichiarazioni regolarmente presentate;
– il credito medesimo viene detratto dai successivi versamenti di acconto.
Rilevato come l’uso del credito in detrazione dai successivi versamenti in acconto costituisce quindi la via prioritaria di utilizzo del credito medesimo, sempre in linea con il richiamato indirizzo giurisprudenziale, occorre sottolineare che il rimborso dell’intero credito potrebbe aver luogo solamente in presenza della cessazione dell’attività dell’operatore della chiusura del rapporto tributario, a decorrere dal quale può essere richiesto in denaro entro due anni dalla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo.
Al di fuori delle vicende oggetto di vaglio giudiziario, i medesimi effetti conseguenti alla chiusura integrale del rapporto tributario sembrano configurarsi anche nel caso in cui il soggetto obbligato venditore cessi la propria attività di fornitura al consumo nel territorio di uno degli autonomi ambiti territoriali individuati all’art. 2, comma 2, della DD prot. n. 264785/RU del 23 luglio 2021.
La conclusione delle forniture di prodotto nel territorio di uno dei distinti ambiti, quantunque possa proseguire l’attività in altro/i ambito/i territoriale/i, comporta di fatto l’impossibilità di recuperare pro quota il credito maturato mediante detrazione delle eccedenze dalle rate successive.
Anche in questa la richiesta di rimborso deve essere presentata entro il termine biennale di decadenza decorrente dalla dichiarazione di consumo contenente gli elementi per la determinazione del credito d’imposta derivante dalla cessazione delle forniture nell’ambito territoriale interessato.

In materia di rimborso del credito ex art. 14, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 504/1995 originato dal meccanismo di applicazione dell’accisa sul gas naturale e sull’energia elettrica ha trovato consolidamento negli ultimi anni un orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione teso a superare le conseguenze derivanti dalla rigidità del termine decadenziale biennale ai fini dell’utilizzo del credito maturato per eccedenze dei versamenti in acconto (Agenzia delle dogane e dei monopoli - Nota 17 agosto 2022, n. 379481/RU).

A seguito di diverse pronunce rese a partire dal 2019 si è venuto affermando l’indirizzo interpretativo secondo il quale, nei due suddetti settori d’imposta, alla chiusura annuale di ciascun periodo oggetto di dichiarazione si determina, per quanto qui interessa, un nuovo saldo creditorio, che va a costituire un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati e che si protrae fino all’esaurimento dello stesso o fino alla definizione del rapporto tributario.
Valutata l’opportunità di prestare adesione al predetto orientamento, si evidenzia quindi che non vi è decadenza biennale del rimborso di accisa se:
- il rapporto tributario è in corso;
- il credito è riportato nelle successive dichiarazioni regolarmente presentate;
- il credito medesimo viene detratto dai successivi versamenti di acconto.
Rilevato come l’uso del credito in detrazione dai successivi versamenti in acconto costituisce quindi la via prioritaria di utilizzo del credito medesimo, sempre in linea con il richiamato indirizzo giurisprudenziale, occorre sottolineare che il rimborso dell’intero credito potrebbe aver luogo solamente in presenza della cessazione dell’attività dell’operatore della chiusura del rapporto tributario, a decorrere dal quale può essere richiesto in denaro entro due anni dalla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo.
Al di fuori delle vicende oggetto di vaglio giudiziario, i medesimi effetti conseguenti alla chiusura integrale del rapporto tributario sembrano configurarsi anche nel caso in cui il soggetto obbligato venditore cessi la propria attività di fornitura al consumo nel territorio di uno degli autonomi ambiti territoriali individuati all’art. 2, comma 2, della DD prot. n. 264785/RU del 23 luglio 2021.
La conclusione delle forniture di prodotto nel territorio di uno dei distinti ambiti, quantunque possa proseguire l’attività in altro/i ambito/i territoriale/i, comporta di fatto l’impossibilità di recuperare pro quota il credito maturato mediante detrazione delle eccedenze dalle rate successive.
Anche in questa la richiesta di rimborso deve essere presentata entro il termine biennale di decadenza decorrente dalla dichiarazione di consumo contenente gli elementi per la determinazione del credito d’imposta derivante dalla cessazione delle forniture nell’ambito territoriale interessato.

Via libera per la compensazione orizzontale

Il contribuente può sempre compensare i crediti di imposta agevolativi derivanti dalla trasformazione delle detrazioni fiscali in credito d’imposta, prevista dal DL Rilancio, con tutte le entrate, il cui versamento per il tramite del Modello F24 è previsto da disposizioni normative primarie o da decreti ministeriali, a meno che la compensazione non venga espressamente preclusa (Agenzia Entrate – risposta 25 agosto 2022 n. 435).

L’art. 121 del DL Rilancio (D.L. n. 34/2020) stabilisce che i crediti d’imposta relativi ad interventi edilizi sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d’imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione. La quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere usufruita negli anni successivi, e non può essere richiesta a rimborso.

Il richiamato art. 17 disciplina i versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

La norma, dunque, nel disciplinare la cd. compensazione orizzontale, consente di utilizzare il modello di versamento unitario (F24) al fine di assolvere, con un’unica operazione, il pagamento delle somme, anche mediante compensazione con eventuali crediti relativi alle entrate sempre ivi indicate.

Detto questo, in relazione al caso di specie, è ammessa la compensazione dei crediti di imposta agevolativi derivanti dagli interventi edilizi elencati all’art. 121, D.L. n. 34/2020, con tutte le entrate, il cui versamento per il tramite del Modello F24 è previsto, direttamente o indirettamente, da disposizioni normative primarie o da decreti ministeriali.

Il contribuente può sempre compensare i crediti di imposta agevolativi derivanti dalla trasformazione delle detrazioni fiscali in credito d’imposta, prevista dal DL Rilancio, con tutte le entrate, il cui versamento per il tramite del Modello F24 è previsto da disposizioni normative primarie o da decreti ministeriali, a meno che la compensazione non venga espressamente preclusa (Agenzia Entrate - risposta 25 agosto 2022 n. 435).

L’art. 121 del DL Rilancio (D.L. n. 34/2020) stabilisce che i crediti d'imposta relativi ad interventi edilizi sono utilizzati in compensazione ai sensi dell'art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d'imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione. La quota di credito d'imposta non utilizzata nell'anno non può essere usufruita negli anni successivi, e non può essere richiesta a rimborso.

Il richiamato art. 17 disciplina i versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

La norma, dunque, nel disciplinare la cd. compensazione orizzontale, consente di utilizzare il modello di versamento unitario (F24) al fine di assolvere, con un'unica operazione, il pagamento delle somme, anche mediante compensazione con eventuali crediti relativi alle entrate sempre ivi indicate.

Detto questo, in relazione al caso di specie, è ammessa la compensazione dei crediti di imposta agevolativi derivanti dagli interventi edilizi elencati all'art. 121, D.L. n. 34/2020, con tutte le entrate, il cui versamento per il tramite del Modello F24 è previsto, direttamente o indirettamente, da disposizioni normative primarie o da decreti ministeriali.

Staking di criptovalute: chiarimenti dal Fisco

I redditi derivanti dall’attività di staking di criptovalute sono soggetti ad imposizione e qualora accreditati nel wallet da una società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta del 26% (Agenzia delle Entrate – risposta 24 agosto 2022, n. 433).

Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di “staking”, ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto a fronte del vincolo di disponibilità’ delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, è applicabile quanto previsto dall’art. 44, co. 1, lett. h), del Tuir.
Tale norma dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.
Si tratta di una disposizione che ha una funzione di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal D.Lgs. n. 461/1997, al fine di ricondurre a tale categoria reddituale tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale.
Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.
Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.
Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’art. 820 c.c. e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
Detto questo, le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking sono soggette ad imposizione ai sensi della lett. h) del co. 1 dell’art. 44 del Tuir e, pertanto, se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26% ai sensi dell’art. 26, co. 5, D.P.R. n. 600/1973.

Conseguentemente, tali remunerazioni non dovranno essere indicate nel Modello Redditi della persona fisica in quanto la ritenuta è applicata a titolo d’imposta.

I redditi derivanti dall'attività di staking di criptovalute sono soggetti ad imposizione e qualora accreditati nel wallet da una società italiana, quest'ultima è tenuta all'applicazione della ritenuta del 26% (Agenzia delle Entrate - risposta 24 agosto 2022, n. 433).

Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di "staking", ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto a fronte del vincolo di disponibilità' delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, è applicabile quanto previsto dall'art. 44, co. 1, lett. h), del Tuir.
Tale norma dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.
Si tratta di una disposizione che ha una funzione di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal D.Lgs. n. 461/1997, al fine di ricondurre a tale categoria reddituale tutti i redditi derivanti dall'impiego del capitale.
Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.
Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l'esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.
Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell'art. 820 c.c. e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
Detto questo, le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell'attività d'impresa, per l'attività di staking sono soggette ad imposizione ai sensi della lett. h) del co. 1 dell'art. 44 del Tuir e, pertanto, se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest'ultima è tenuta all'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 26% ai sensi dell'art. 26, co. 5, D.P.R. n. 600/1973.

Conseguentemente, tali remunerazioni non dovranno essere indicate nel Modello Redditi della persona fisica in quanto la ritenuta è applicata a titolo d'imposta.

Agevolato l’acquisto di immobili destinati agli occupanti di aree baraccate

Fornite le modalità di applicazione del regime agevolato di cui all’art. 32, co. 2, D.P.R. n. 601/1973 agli atti di acquisto degli immobili da destinare agli occupanti delle aree baraccate (Agenzia Entrate – risposta 25 agosto 2022, n. 434).

L’art. 32, co. 2, D.P.R. n. 601/1973 (rubricato “Edilizia economica e popolare”), dispone che “gli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della L. n. 865/1971 e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali. Le stesse agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della medesima legge L’edilizia residenziale oggetto dei programmi pubblici è quella c.d. ” sovvenzionata”, ossia realizzata dai soggetti previsti nella legge n. 865 del 1971 direttamente o indirettamente con fondi pubblici, per la creazione a costi ridotti di abitazioni da assegnare, a condizioni economiche particolarmente favorevoli, a cittadini con redditi bassi o che si trovino in condizioni economiche disagiate.
È invece esclusa dall’agevolazione di cui all’art. 32:
– l’edilizia “convenzionata”, ovvero quella diretta a far acquisire la proprietà della casa, per specifiche categorie di persone, attraverso prezzi calmierati in base a convenzioni stipulate con i comuni;
– l’edilizia “agevolata”, finalizzata alla costruzione di alloggi da destinare a prima abitazione, realizzata da privati con finanziamenti messi a disposizione dallo Stato o dalle Regioni, a condizioni di particolare favore, e con contributi in conto interessi e a fondo perduto.

In considerazione di quanto premesso, dato anche il tenore del cit. art. 32 che fa riferimento ad “atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale”, devono ritenersi inclusi nel perimetro agevolativo in esame anche gli atti di acquisto, da privati da parte dell’Agenzia, di immobili da destinare ad alloggi finalizzati alla realizzazione di un programma di edilizia sovvenzionata.

Fornite le modalità di applicazione del regime agevolato di cui all’art. 32, co. 2, D.P.R. n. 601/1973 agli atti di acquisto degli immobili da destinare agli occupanti delle aree baraccate (Agenzia Entrate - risposta 25 agosto 2022, n. 434).

L'art. 32, co. 2, D.P.R. n. 601/1973 (rubricato "Edilizia economica e popolare"), dispone che "gli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della L. n. 865/1971 e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all'imposta di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecarie e catastali. Le stesse agevolazioni si applicano agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all'attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della medesima legge L'edilizia residenziale oggetto dei programmi pubblici è quella c.d. " sovvenzionata", ossia realizzata dai soggetti previsti nella legge n. 865 del 1971 direttamente o indirettamente con fondi pubblici, per la creazione a costi ridotti di abitazioni da assegnare, a condizioni economiche particolarmente favorevoli, a cittadini con redditi bassi o che si trovino in condizioni economiche disagiate.
È invece esclusa dall'agevolazione di cui all'art. 32:
- l'edilizia "convenzionata", ovvero quella diretta a far acquisire la proprietà della casa, per specifiche categorie di persone, attraverso prezzi calmierati in base a convenzioni stipulate con i comuni;
- l'edilizia "agevolata", finalizzata alla costruzione di alloggi da destinare a prima abitazione, realizzata da privati con finanziamenti messi a disposizione dallo Stato o dalle Regioni, a condizioni di particolare favore, e con contributi in conto interessi e a fondo perduto.

In considerazione di quanto premesso, dato anche il tenore del cit. art. 32 che fa riferimento ad "atti e contratti relativi all'attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale", devono ritenersi inclusi nel perimetro agevolativo in esame anche gli atti di acquisto, da privati da parte dell'Agenzia, di immobili da destinare ad alloggi finalizzati alla realizzazione di un programma di edilizia sovvenzionata.

L’operatore UE in regime di piccole imprese esclude l’acquisto intracomunitario

Gli acquisti di beni effettuati da un soggetto Iva italiano in regime forfettario presso un operatore di un altro Stato membro sottoposto al regime delle piccole imprese non si considerano acquisti intracomunitari, in quanto si tratta di operazioni rilevanti ai fini Iva nello Stato membro di origine (Agenzia Entrate – risposta 23 agosto 2022 n. 431).

Ai sensi dell’art. 38, co. 5, lett. d), D.L. n. 331/1993, conv. dalla L. n. 427/1993 “non costituiscono acquisti intracomunitari:… d) gli acquisti di beni se il cedente beneficia nel proprio Stato membro dell’esonero disposto per le piccole imprese”.
Il regime speciale delle piccole imprese, concesso dalla Direttiva 2006/112 agli Stati membri entro determinate soglie di esonero, prevede modalità semplificate di imposizione e riscossione dell’imposta per le operazioni attive da esse effettuate. Pertanto, non sono considerate cessioni intracomunitarie le cessioni di beni da esse effettuate nei confronti di altri operatori stabiliti in altro Stato membro.
Allo stesso modo, ai sensi del comma 5, lettera d), del citato art. 38, non sono considerati acquisti intracomunitari le operazioni riguardanti i beni acquistati da qualsiasi operatore italiano, qualora il proprio cedente benefici nel suo paese di tale regime.
Come chiarito dalla circolare n. 26/E del 21 giugno 2010, nel caso di un soggetto passivo d’imposta italiano che effettua acquisti di beni presso un operatore di altro Stato membro sottoposto al regime delle piccole imprese, il soggetto passivo italiano non effettua l’acquisto intracomunitario, in quanto si deve supporre che trattasi di operazione rilevante ai fini IVA nello Stato membro di origine.

Gli acquisti di beni effettuati da un soggetto Iva italiano in regime forfettario presso un operatore di un altro Stato membro sottoposto al regime delle piccole imprese non si considerano acquisti intracomunitari, in quanto si tratta di operazioni rilevanti ai fini Iva nello Stato membro di origine (Agenzia Entrate - risposta 23 agosto 2022 n. 431).

Ai sensi dell'art. 38, co. 5, lett. d), D.L. n. 331/1993, conv. dalla L. n. 427/1993 "non costituiscono acquisti intracomunitari:... d) gli acquisti di beni se il cedente beneficia nel proprio Stato membro dell'esonero disposto per le piccole imprese".
Il regime speciale delle piccole imprese, concesso dalla Direttiva 2006/112 agli Stati membri entro determinate soglie di esonero, prevede modalità semplificate di imposizione e riscossione dell'imposta per le operazioni attive da esse effettuate. Pertanto, non sono considerate cessioni intracomunitarie le cessioni di beni da esse effettuate nei confronti di altri operatori stabiliti in altro Stato membro.
Allo stesso modo, ai sensi del comma 5, lettera d), del citato art. 38, non sono considerati acquisti intracomunitari le operazioni riguardanti i beni acquistati da qualsiasi operatore italiano, qualora il proprio cedente benefici nel suo paese di tale regime.
Come chiarito dalla circolare n. 26/E del 21 giugno 2010, nel caso di un soggetto passivo d'imposta italiano che effettua acquisti di beni presso un operatore di altro Stato membro sottoposto al regime delle piccole imprese, il soggetto passivo italiano non effettua l'acquisto intracomunitario, in quanto si deve supporre che trattasi di operazione rilevante ai fini IVA nello Stato membro di origine.

Rimborso Iva e cessione d’azienda: chiarimenti dal Fisco

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta 24 agosto 2022, n. 432 ha fornito chiarimenti sul soggetto legittimato a presentare la richiesta di rimborso Iva in ipotesi di cessione d’azienda.

La cessione di un ramo d’azienda è un’operazione straordinaria nella quale si determina una situazione di continuità tra i contribuenti interessati.
Al riguardo, l’art. 16, co. 11, lett. a), L. n. 537/1993, prevista per le operazioni di scissione ed applicabile anche per le cessione di ramo d’azienda secondo quanto chiarito dal Fisco, stabilisce che gli obblighi e i diritti derivanti dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, relativi alle operazioni realizzate tramite le aziende o i complessi aziendali trasferiti, sono assunti dalle società beneficiarie del trasferimento.
Ne consegue che, nelle ipotesi di cessione d’azienda o di uno o più rami aziendali, che abbiano comportato l’estinzione del soggetto dante causa, il cessionario deve assolvere tutti gli adempimenti, agli effetti dell’IVA, successivi alla data di cessione.

Con tale successione, il cedente può presentare la domanda di rimborso dell’IVA non dovuta, accertata definitivamente, entro due anni dalla restituzione, in via civilistica, al cessionario e/o committente. In particolare, per motivi di cautela fiscale e per evitare un indebito arricchimento del cedente/prestatore, il rimborso dell’IVA indebitamente versata è strettamente collegato alla restituzione al cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato ed incassato a titolo di rivalsa. I due anni entro i quali presentare la richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta decorrono, infatti, dal momento in cui avviene la restituzione al cessionario/committente della medesima somma da lui versata per effetto di

accertamento definitivo.

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta 24 agosto 2022, n. 432 ha fornito chiarimenti sul soggetto legittimato a presentare la richiesta di rimborso Iva in ipotesi di cessione d’azienda.

La cessione di un ramo d'azienda è un'operazione straordinaria nella quale si determina una situazione di continuità tra i contribuenti interessati.
Al riguardo, l'art. 16, co. 11, lett. a), L. n. 537/1993, prevista per le operazioni di scissione ed applicabile anche per le cessione di ramo d’azienda secondo quanto chiarito dal Fisco, stabilisce che gli obblighi e i diritti derivanti dall'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, relativi alle operazioni realizzate tramite le aziende o i complessi aziendali trasferiti, sono assunti dalle società beneficiarie del trasferimento.
Ne consegue che, nelle ipotesi di cessione d'azienda o di uno o più rami aziendali, che abbiano comportato l'estinzione del soggetto dante causa, il cessionario deve assolvere tutti gli adempimenti, agli effetti dell'IVA, successivi alla data di cessione.

Con tale successione, il cedente può presentare la domanda di rimborso dell'IVA non dovuta, accertata definitivamente, entro due anni dalla restituzione, in via civilistica, al cessionario e/o committente. In particolare, per motivi di cautela fiscale e per evitare un indebito arricchimento del cedente/prestatore, il rimborso dell'IVA indebitamente versata è strettamente collegato alla restituzione al cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato ed incassato a titolo di rivalsa. I due anni entro i quali presentare la richiesta di rimborso dell'IVA non dovuta decorrono, infatti, dal momento in cui avviene la restituzione al cessionario/committente della medesima somma da lui versata per effetto di

accertamento definitivo.

Servizi sostitutivi di mensa aziendale e app come mezzo di pagamento

L’Agenzia delle Entrate con la risposta 22 agosto 2022 n. 430 ha fornito chiarimenti sull’individuazione della corretta aliquota IVA da applicare al servizio sostitutivo di mensa aziendale fornito per il tramite di un App e dei Ristoranti affiliati a tale circuito.

A riguardo, come più volte chiarito in diversi documenti di prassi, per verificare se una somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti sia riconducibile alla categoria dei servizi sostitutivi di mensa aziendale piuttosto che alle altre tipologie in cui può essere resa (ad esempio, ticket restaurant o mensa diffusa) occorre aver riguardo non solo alle modalità attraverso le quali la prestazione viene resa, ma anche alla presenza di eventuali convenzioni tra i partecipanti al contratto di somministrazione di alimenti e bevande.

Nel caso di specie, l’App incorpora un credito, utilizzato dal dipendente per pagare la consumazione presso il ristorante convenzionato, nel giorno e ora, preferiti, nei limiti ovviamente del credito precostituito dal datore di lavoro.

L’App funge da strumento di pagamento e non dà alcun diritto autonomo ad ottenere la somministrazione di alimenti o bevande.

La suddetta fattispecie non può essere quindi ricondotta l’operazione nell’ambito delle discipline della mensa diffusa e dei servizi sostitutivi di mensa aziendale, non sussistano i presupposti per l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata al 4% prevista dal n. 37) della Tabella A, parte II, del Decreto IVA, bensì quelli per l’applicazione dell’aliquota IVA del 10% di cui al n. 121) della Parte III della medesima Tabella.

I ristoranti quindi fattureranno alla Società le consumazioni dei Collaboratori applicando l’aliquota IVA del 10%.

L’Agenzia delle Entrate con la risposta 22 agosto 2022 n. 430 ha fornito chiarimenti sull'individuazione della corretta aliquota IVA da applicare al servizio sostitutivo di mensa aziendale fornito per il tramite di un App e dei Ristoranti affiliati a tale circuito.

A riguardo, come più volte chiarito in diversi documenti di prassi, per verificare se una somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti sia riconducibile alla categoria dei servizi sostitutivi di mensa aziendale piuttosto che alle altre tipologie in cui può essere resa (ad esempio, ticket restaurant o mensa diffusa) occorre aver riguardo non solo alle modalità attraverso le quali la prestazione viene resa, ma anche alla presenza di eventuali convenzioni tra i partecipanti al contratto di somministrazione di alimenti e bevande.

Nel caso di specie, l'App incorpora un credito, utilizzato dal dipendente per pagare la consumazione presso il ristorante convenzionato, nel giorno e ora, preferiti, nei limiti ovviamente del credito precostituito dal datore di lavoro.

L'App funge da strumento di pagamento e non dà alcun diritto autonomo ad ottenere la somministrazione di alimenti o bevande.

La suddetta fattispecie non può essere quindi ricondotta l'operazione nell'ambito delle discipline della mensa diffusa e dei servizi sostitutivi di mensa aziendale, non sussistano i presupposti per l'applicazione dell'aliquota IVA agevolata al 4% prevista dal n. 37) della Tabella A, parte II, del Decreto IVA, bensì quelli per l'applicazione dell'aliquota IVA del 10% di cui al n. 121) della Parte III della medesima Tabella.

I ristoranti quindi fattureranno alla Società le consumazioni dei Collaboratori applicando l'aliquota IVA del 10%.

Bonus affitti: via libera dal Fisco per i canoni versati entro il 29 agosto 2022

È possibile fruire del credito per canoni di locazione ad uso non abitativo ed affitto d’azienda, con riferimento alle mensilità per cui i canoni risultino versati entro il 29 agosto 2022, in considerazione delle prospettabili difficoltà interpretative della misura di sostegno individuate in sede europea, che all’origine includeva i canoni di locazione pagati entro il 30 giugno 2022 (Agenzia Entrate – risposta 12 agosto 2022 n. 426).

L’art. 28 del Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020, conv. con modif. in L. n. 77/2020), al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, ha previsto un credito d’imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda al sussistere di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi.

Con la circolare n. 14/E del 2020, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per potere fruire del credito, è necessario che il canone sia stato corrisposto; nel caso in cui il canone non sia stato corrisposto, la possibilità di utilizzare il credito d’imposta resta sospesa fino al momento del pagamento. Inoltre, il documento di prassi ha ulteriormente precisato che ai fini della determinazione del credito d’imposta è necessario considerare le somme effettivamente versate e che al fine di dimostrare l’avvenuto pagamento, i soggetti beneficiari, in assenza di un’espressa previsione normativa sul tema, devono rispettare i principi ordinari previsti per il riconoscimento degli oneri ai fini della deduzione dal reddito d’impresa (articolo 109 del TUIR), per ciascuna tipologia di soggetto tenendo conto delle proprie regole di determinazione del reddito d’impresa, avendo cura di conservare il relativo documento contabile con quietanza di pagamento.

Ciò premesso, si rammenta che l’agevolazione si applica nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19”, come modificate con la Comunicazione C(2021) 8442 del 18 novembre 2021. In particolare, questa misura è stata autorizzata dalla Commissione europea con la decisione C(2022) 3099 final del 6 maggio 2022 ed in conformità a quanto disposto, il credito d’imposta può essere riconosciuto solo per i canoni di locazione pagati entro il 30 giugno 2022.

Pur tuttavia, in considerazione delle difficoltà che potrebbero aver incontrato i destinatari della presente misura agevolativa nell’individuare il corretto ambito di applicazione della Comunicazione della Commissione Europea, l’Agenzia delle entrate, a mezzo di una Faq pubblicata sul proprio sito, ha ritenuto di poter considerare validi ai fini del riconoscimento del credito d’imposta anche i canoni versati oltre il 30 giugno 2022 ma entro il 29 agosto 2022, in applicazione dell’art. 3 co. 2, dello Statuto dei diritti del contribuente.

È possibile fruire del credito per canoni di locazione ad uso non abitativo ed affitto d'azienda, con riferimento alle mensilità per cui i canoni risultino versati entro il 29 agosto 2022, in considerazione delle prospettabili difficoltà interpretative della misura di sostegno individuate in sede europea, che all’origine includeva i canoni di locazione pagati entro il 30 giugno 2022 (Agenzia Entrate - risposta 12 agosto 2022 n. 426).

L'art. 28 del Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020, conv. con modif. in L. n. 77/2020), al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19, ha previsto un credito d'imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d'azienda al sussistere di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi.

Con la circolare n. 14/E del 2020, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per potere fruire del credito, è necessario che il canone sia stato corrisposto; nel caso in cui il canone non sia stato corrisposto, la possibilità di utilizzare il credito d'imposta resta sospesa fino al momento del pagamento. Inoltre, il documento di prassi ha ulteriormente precisato che ai fini della determinazione del credito d'imposta è necessario considerare le somme effettivamente versate e che al fine di dimostrare l'avvenuto pagamento, i soggetti beneficiari, in assenza di un'espressa previsione normativa sul tema, devono rispettare i principi ordinari previsti per il riconoscimento degli oneri ai fini della deduzione dal reddito d'impresa (articolo 109 del TUIR), per ciascuna tipologia di soggetto tenendo conto delle proprie regole di determinazione del reddito d'impresa, avendo cura di conservare il relativo documento contabile con quietanza di pagamento.

Ciò premesso, si rammenta che l’agevolazione si applica nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final "Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19", come modificate con la Comunicazione C(2021) 8442 del 18 novembre 2021. In particolare, questa misura è stata autorizzata dalla Commissione europea con la decisione C(2022) 3099 final del 6 maggio 2022 ed in conformità a quanto disposto, il credito d'imposta può essere riconosciuto solo per i canoni di locazione pagati entro il 30 giugno 2022.

Pur tuttavia, in considerazione delle difficoltà che potrebbero aver incontrato i destinatari della presente misura agevolativa nell'individuare il corretto ambito di applicazione della Comunicazione della Commissione Europea, l'Agenzia delle entrate, a mezzo di una Faq pubblicata sul proprio sito, ha ritenuto di poter considerare validi ai fini del riconoscimento del credito d'imposta anche i canoni versati oltre il 30 giugno 2022 ma entro il 29 agosto 2022, in applicazione dell’art. 3 co. 2, dello Statuto dei diritti del contribuente.