Branch exemption: configurabile in presenza di stabile organizzazione nello Stato di localizzazione

L’opzione per il regime di branch exemption può essere esercitata in presenza di stabile organizzazione nello Stato estero di localizzazione ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni tra quest’ultimo e l’Italia, ove in vigore, ovvero, in mancanza di una Convenzione, dei criteri di configurazione della stabile organizzazione ai sensi dall’art. 162 del TUIR (Agenzia delle entrate – risposta 12 gennaio 2022, n. 18).

Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 28 agosto 2017, subordina l’esercizio dell’opzione per il regime di branch exemption (art. 168- ter TUIR), alla condizione che ” sia configurabile una stabile organizzazione nello Stato estero di localizzazione ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni tra quest’ultimo e l’Italia, ove in vigore, ovvero, in mancanza di una Convenzione, dei criteri di configurazione della stabile organizzazione dettati dall’art. 162 TUIR, a meno che, in ogni caso, lo Stato estero non ravvisi l’esistenza di una stabile organizzazione ai sensi della sua legislazione domestica.

Nel caso di specie, l’Italia ha in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni con YYYY.

Il Trattato detta una definizione di stabile organizzazione che sostanzialmente ricalca quella del Modello OCSE, i cui presupposti essenziali, possono sintetizzarsi in:

– esistenza della sede d’affari;

– fissità spaziale e temporale della sede d’affari;

– svolgimento dell’attività d’impresa della casa madre in tutto o in parte per mezzo della sede fissa d’affari.

Il primo requisito è integrato nella misura in cui l’impresa abbia a disposizione un certo spazio, indipendentemente dal titolo giuridico in virtù del quale ne disponga, purché abbia il potere di utilizzarlo per svolgervi l’attività imprenditoriale.

Il secondo requisito implica che la sede d’affari sia fissa e cioè sia stabilita in un determinato luogo con un certo grado di permanenza.

In base alla terza condizione, affinché l’insediamento estero sia considerato stabile organizzazione, è necessario che l’impresa non residente svolga una parte significativa della propria attività economica attraverso la sede stessa. Inoltre, l’attività posta in essere dalla sede estera non deve consistere in una di quelle elencate nel paragrafo 3 della Convenzione, caratterizzate dall’apporto scarsamente significativo all’attività d’impresa della casa madre.

Soddisfatte tali condizioni, ai fini dell’esercizio della branch exemption, è necessario che anche l’Amministrazione finanziaria estera ravvisi l’esistenza di una stabile organizzazione come autonomo soggetto fiscalmente rilevante assoggettato a imposizione in base alla normativa domestica.

L'opzione per il regime di branch exemption può essere esercitata in presenza di stabile organizzazione nello Stato estero di localizzazione ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni tra quest'ultimo e l'Italia, ove in vigore, ovvero, in mancanza di una Convenzione, dei criteri di configurazione della stabile organizzazione ai sensi dall'art. 162 del TUIR (Agenzia delle entrate - risposta 12 gennaio 2022, n. 18).

Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 28 agosto 2017, subordina l'esercizio dell'opzione per il regime di branch exemption (art. 168- ter TUIR), alla condizione che " sia configurabile una stabile organizzazione nello Stato estero di localizzazione ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni tra quest'ultimo e l'Italia, ove in vigore, ovvero, in mancanza di una Convenzione, dei criteri di configurazione della stabile organizzazione dettati dall'art. 162 TUIR, a meno che, in ogni caso, lo Stato estero non ravvisi l'esistenza di una stabile organizzazione ai sensi della sua legislazione domestica.

Nel caso di specie, l'Italia ha in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni con YYYY.

Il Trattato detta una definizione di stabile organizzazione che sostanzialmente ricalca quella del Modello OCSE, i cui presupposti essenziali, possono sintetizzarsi in:

- esistenza della sede d'affari;

- fissità spaziale e temporale della sede d'affari;

- svolgimento dell'attività d'impresa della casa madre in tutto o in parte per mezzo della sede fissa d'affari.

Il primo requisito è integrato nella misura in cui l'impresa abbia a disposizione un certo spazio, indipendentemente dal titolo giuridico in virtù del quale ne disponga, purché abbia il potere di utilizzarlo per svolgervi l'attività imprenditoriale.

Il secondo requisito implica che la sede d'affari sia fissa e cioè sia stabilita in un determinato luogo con un certo grado di permanenza.

In base alla terza condizione, affinché l'insediamento estero sia considerato stabile organizzazione, è necessario che l'impresa non residente svolga una parte significativa della propria attività economica attraverso la sede stessa. Inoltre, l'attività posta in essere dalla sede estera non deve consistere in una di quelle elencate nel paragrafo 3 della Convenzione, caratterizzate dall'apporto scarsamente significativo all'attività d'impresa della casa madre.

Soddisfatte tali condizioni, ai fini dell'esercizio della branch exemption, è necessario che anche l'Amministrazione finanziaria estera ravvisi l'esistenza di una stabile organizzazione come autonomo soggetto fiscalmente rilevante assoggettato a imposizione in base alla normativa domestica.

Emergenza COVID-19: monitoraggio e controllo degli aiuti riconosciuti a sostegno dell’economia

Il MEF ha definito le modalità di monitoraggio e controllo degli aiuti riconosciuti a sostegno dell’economia a seguito dell’emergenza da COVID-19. (D.M. 11 dicembre 2021)

Il decreto in oggetto, in corso di pubblicazione nella G. U., è stato adottato in attuazione del decreto Sostegni (co. 16, art. 1, decreto-legge n. 41/2021) e definisce le modalità applicative finalizzate alla verifica del rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da COVID-19.
Il provvedimento contiene quattro articoli. L’articolo 1 elenca le disposizioni di legge che, al fine di sostenere le imprese colpite dalla crisi e di limitare gli effetti negativi delle misure di prevenzione e di contenimento adottate in risposta all’epidemia di COVID-19, hanno introdotto nell’ordinamento le agevolazioni (esenzioni fiscali, crediti d’imposta, contributi diretti, etc.) in relazione alle quali si rendono applicabili le previsioni del “regime-quadro” e, conseguentemente, le disposizioni attuative contenute negli articoli 2, 3 e 4 del presente decreto.
L’articolo 2, in considerazione della circostanza che il Quadro temporaneo è stato oggetto di diverse modifiche, con le quali – per quanto di interesse ai fini del presente decreto – è stata dapprima introdotta la Sezione 3.12 “Aiuti sotto forma di sostegno a costi fissi non coperti” e successivamente sono stati innalzati i massimali originariamente previsti sia per agli aiuti concessi nell’ambito nella Sezione 3.1 “Aiuti di importi limitato” sia per quelli concessi nell’ambito della predetta Sezione 3.12, individua i massimali pro tempore applicabili, precisando, in particolare, che:
a) agli aiuti richiamati all’articolo 1 del presente decreto, fruiti nel rispetto delle condizioni e dei limiti di cui alla Sezione 3.1 del Quadro temporaneo, si applicano i seguenti massimali:
• 800.000 euro per impresa unica, ovvero 120.000 euro per le imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura e 100.000 euro per le imprese operanti nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli, per gli aiuti ricevuti dal 19 marzo 2020 al 27 gennaio 2021;
• 1.800.000 euro per impresa unica, ovvero 270.000 euro per le imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura e 225.000 euro per le imprese operanti nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli, per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 alla data del 31 dicembre 2021;
b) agli aiuti richiamati all’articolo 1 del presente decreto, fruiti nel rispetto delle condizioni di cui alla Sezione 3.12 del Quadro temporaneo, e, in particolare, di quelle previste al paragrafo 87 della Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final, si applicano i seguenti massimali :
• 3.000.000 di euro per impresa unica, per gli aiuti ricevuti dal 13 ottobre 2020 al 27 gennaio 2021;
• 10.000.000 di euro per impresa unica, per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 al 31 dicembre 2021.
Ai fini del rispetto dei diversi massimali, rileva la data in cui l’aiuto è stato messo a disposizione del beneficiario, definita come:
(i) la data di approvazione della domanda di aiuto, qualora la concessione dell’aiuto sia subordinata a tale domanda e approvazione;
(ii) la data di presentazione della dichiarazione dei redditi o la data di approvazione della compensazione in relazione ai crediti d’imposta;
(iii) la data di entrata in vigore della normativa di riferimento negli altri casi.
L’articolo 3 prevede che, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni e dei limiti delle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro temporaneo, i soggetti beneficiari degli aiuti richiamati dall’articolo 1 presentino all’Agenzia delle entrate una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà avente ad oggetto il rispetto dei requisiti di cui alle predette Sezioni, nella quale attestano, inter alia, che l’importo complessivo degli aiuti fruiti non supera i massimali previsti, tenuto conto delle relazioni di controllo tra imprese rilevanti ai fini della definizione di “impresa unica” utilizzata in materia di aiuti di Stato. Ai fini dell’applicazione della Sezione 3.12 del Quadro temporaneo, gli operatori economici sono tenuti altresì ad attestare nell’autodichiarazione la sussistenza delle ulteriori condizioni specificamente previste dalla predetta Sezione. In particolare, il beneficiario delle misure dichiara che, nel periodo di riferimento individuato come rilevante per la spettanza della singola misura (periodo compreso tra il 1° marzo 2020 e il 31 dicembre 2021, ovvero un periodo ammissibile di almeno un mese comunque compreso tra il 1° marzo 2020 e il 31 dicembre 2021), l’ammontare complessivo del fatturato e dei corrispettivi registrati è inferiore di almeno il 30 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2019 e che l’importo dell’aiuto richiesto non supera il 70 per cento (90 per cento per le micro e piccole imprese) dei costi fissi non coperti sostenuti nel predetto periodo di riferimento. Il periodo di riferimento individuato dal soggetto beneficiario dell’aiuto come rilevante per la spettanza della singola misura non può in ogni caso essere successivo alla data di presentazione dell’autodichiarazione. Per costi fissi si intendono quelli sostenuti indipendentemente dal livello di produzione mentre per costi variabili si intendono quelli sostenuti in funzione del livello di produzione. Per costi fissi non coperti si intendono i costi fissi sostenuti dalle imprese durante il periodo ammissibile che non sono coperti dai ricavi dello stesso periodo considerati al netto dei costi variabili e che non sono coperti da altre fonti quali assicurazioni, eventuali altri aiuti di Stato e altre misure di sostegno. Le perdite subite dalle imprese durante il periodo ammissibile sono considerate costi fissi non coperti.
L’articolo 4, infine, disciplina le ipotesi di superamento dei massimali previsti dalle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro temporaneo e le modalità attraverso le quali è possibile procedere alla restituzione dell’importo dell’aiuto eccedente i predetti massimali o al recupero dello stesso, demandando a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate la definizione delle modalità e dei termini di attuazione delle disposizioni in esso contenute.

Il MEF ha definito le modalità di monitoraggio e controllo degli aiuti riconosciuti a sostegno dell’economia a seguito dell’emergenza da COVID-19. (D.M. 11 dicembre 2021)

Il decreto in oggetto, in corso di pubblicazione nella G. U., è stato adottato in attuazione del decreto Sostegni (co. 16, art. 1, decreto-legge n. 41/2021) e definisce le modalità applicative finalizzate alla verifica del rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da COVID-19.
Il provvedimento contiene quattro articoli. L’articolo 1 elenca le disposizioni di legge che, al fine di sostenere le imprese colpite dalla crisi e di limitare gli effetti negativi delle misure di prevenzione e di contenimento adottate in risposta all'epidemia di COVID-19, hanno introdotto nell’ordinamento le agevolazioni (esenzioni fiscali, crediti d'imposta, contributi diretti, etc.) in relazione alle quali si rendono applicabili le previsioni del "regime-quadro" e, conseguentemente, le disposizioni attuative contenute negli articoli 2, 3 e 4 del presente decreto.
L’articolo 2, in considerazione della circostanza che il Quadro temporaneo è stato oggetto di diverse modifiche, con le quali – per quanto di interesse ai fini del presente decreto – è stata dapprima introdotta la Sezione 3.12 "Aiuti sotto forma di sostegno a costi fissi non coperti" e successivamente sono stati innalzati i massimali originariamente previsti sia per agli aiuti concessi nell’ambito nella Sezione 3.1 "Aiuti di importi limitato" sia per quelli concessi nell’ambito della predetta Sezione 3.12, individua i massimali pro tempore applicabili, precisando, in particolare, che:
a) agli aiuti richiamati all’articolo 1 del presente decreto, fruiti nel rispetto delle condizioni e dei limiti di cui alla Sezione 3.1 del Quadro temporaneo, si applicano i seguenti massimali:
• 800.000 euro per impresa unica, ovvero 120.000 euro per le imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura e 100.000 euro per le imprese operanti nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli, per gli aiuti ricevuti dal 19 marzo 2020 al 27 gennaio 2021;
• 1.800.000 euro per impresa unica, ovvero 270.000 euro per le imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura e 225.000 euro per le imprese operanti nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli, per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 alla data del 31 dicembre 2021;
b) agli aiuti richiamati all’articolo 1 del presente decreto, fruiti nel rispetto delle condizioni di cui alla Sezione 3.12 del Quadro temporaneo, e, in particolare, di quelle previste al paragrafo 87 della Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final, si applicano i seguenti massimali :
• 3.000.000 di euro per impresa unica, per gli aiuti ricevuti dal 13 ottobre 2020 al 27 gennaio 2021;
• 10.000.000 di euro per impresa unica, per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 al 31 dicembre 2021.
Ai fini del rispetto dei diversi massimali, rileva la data in cui l’aiuto è stato messo a disposizione del beneficiario, definita come:
(i) la data di approvazione della domanda di aiuto, qualora la concessione dell'aiuto sia subordinata a tale domanda e approvazione;
(ii) la data di presentazione della dichiarazione dei redditi o la data di approvazione della compensazione in relazione ai crediti d'imposta;
(iii) la data di entrata in vigore della normativa di riferimento negli altri casi.
L’articolo 3 prevede che, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni e dei limiti delle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro temporaneo, i soggetti beneficiari degli aiuti richiamati dall’articolo 1 presentino all’Agenzia delle entrate una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà avente ad oggetto il rispetto dei requisiti di cui alle predette Sezioni, nella quale attestano, inter alia, che l'importo complessivo degli aiuti fruiti non supera i massimali previsti, tenuto conto delle relazioni di controllo tra imprese rilevanti ai fini della definizione di "impresa unica" utilizzata in materia di aiuti di Stato. Ai fini dell’applicazione della Sezione 3.12 del Quadro temporaneo, gli operatori economici sono tenuti altresì ad attestare nell’autodichiarazione la sussistenza delle ulteriori condizioni specificamente previste dalla predetta Sezione. In particolare, il beneficiario delle misure dichiara che, nel periodo di riferimento individuato come rilevante per la spettanza della singola misura (periodo compreso tra il 1° marzo 2020 e il 31 dicembre 2021, ovvero un periodo ammissibile di almeno un mese comunque compreso tra il 1° marzo 2020 e il 31 dicembre 2021), l’ammontare complessivo del fatturato e dei corrispettivi registrati è inferiore di almeno il 30 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2019 e che l’importo dell’aiuto richiesto non supera il 70 per cento (90 per cento per le micro e piccole imprese) dei costi fissi non coperti sostenuti nel predetto periodo di riferimento. Il periodo di riferimento individuato dal soggetto beneficiario dell’aiuto come rilevante per la spettanza della singola misura non può in ogni caso essere successivo alla data di presentazione dell’autodichiarazione. Per costi fissi si intendono quelli sostenuti indipendentemente dal livello di produzione mentre per costi variabili si intendono quelli sostenuti in funzione del livello di produzione. Per costi fissi non coperti si intendono i costi fissi sostenuti dalle imprese durante il periodo ammissibile che non sono coperti dai ricavi dello stesso periodo considerati al netto dei costi variabili e che non sono coperti da altre fonti quali assicurazioni, eventuali altri aiuti di Stato e altre misure di sostegno. Le perdite subite dalle imprese durante il periodo ammissibile sono considerate costi fissi non coperti.
L’articolo 4, infine, disciplina le ipotesi di superamento dei massimali previsti dalle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro temporaneo e le modalità attraverso le quali è possibile procedere alla restituzione dell’importo dell’aiuto eccedente i predetti massimali o al recupero dello stesso, demandando a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate la definizione delle modalità e dei termini di attuazione delle disposizioni in esso contenute.

Tassazione compensi per incarico di commissario straordinario di imprese in crisi

I compensi per l’incarico di componente del “collegio commissariale” della procedura di amministrazione straordinaria svolto dal dipendente/socio della società di consulenza, versati direttamente sul conto di quest’ultima, non costituiscono reddito in capo al dipendente/socio, bensì in capo alla società. Pertanto, non deve essere operata la ritenuta d’acconto. (Agenzia delle Entrate – Risposta 11 gennaio 2022, n. 12).

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda il trattamento fiscale dei compensi per l’incarico di componente del “collegio commissariale” della procedura di amministrazione straordinaria, qualora sia svolto dal dirigente/socio di una società di servizi di consulenza ad imprese ed enti (pubblici e privati), il quale operi in rapporto di esclusiva con la propria società, avvalendosi altresì di risorse proprie della medesima società per svolgere l’incarico, tenuto conto che le somme dovute al commissario dalla procedura di amministrazione straordinaria sono accreditate direttamente sul conto corrente intestato alla società di servizi.
La disciplina che regola le condizioni per lo svolgimento dell’attività di commissari giudiziali e straordinari delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (D.M. 10 aprile 2013, n. 60), prevede che i commissari straordinari sono scelti tra persone in possesso di «diploma di laurea in materie giuridiche, economiche o ingegneristiche o tecnico-scientifiche, o materie equipollenti, ovvero di diploma di ragioniere e perito commerciale, che hanno maturato una esperienza complessiva di almeno cinque anni nell’esercizio di:
1) funzione di amministrazione o di direzione presso imprese pubbliche o private aventi dimensioni comparabili con quelle dell’impresa insolvente;
2) funzioni dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore di attività dell’impresa insolvente e che comportano la gestione di rilevanti risorse economico-finanziarie;
3) funzioni di curatore, commissario giudiziale, commissario liquidatore o commissario straordinario di procedure concorsuali che hanno comportato la gestione di imprese di dimensioni comparabili con quelle dell’impresa insolvente.
La necessità del possesso di requisiti di professionalità e onorabilità, implica che l’incarico di componete del collegio commissariale sia attribuito ad una persona fisica.
Nel caso di specie, l’incarico di commissario straordinario è formalmente attribuito al dirigente/socio, il quale però sostanzialmente lo svolge con il supporto della società da cui dipende e comunque nell’ambito di un vincolo della prestazione lavorativa esclusivamente a favore della medesima società.
Secondo, l’Agenzia delle Entrate, in considerazione della clausola di “esclusività” della prestazione lavorativa del dirigente/socio a favore della società di servizi di cui è dipendente e della circostanza che i compensi per l’incarico di commissario straordinario sono versati direttamente dalla aziende amministrate a favore della stessa, deve ritenersi che le somme siano irrilevanti ai fini Irpef in capo al commissario e, conseguentemente, escluse dall’applicazione della ritenuta d’acconto di cui all’articolo 24 del D.P.R. n. 600 del 1973.
Tali somme concorreranno, invece, alla formazione del reddito in capo alla società di servizi, rilevando ai fini dell’Ires, dell’Irap e dell’Iva, con relativo obbligo di fatturazione.

I compensi per l’incarico di componente del "collegio commissariale" della procedura di amministrazione straordinaria svolto dal dipendente/socio della società di consulenza, versati direttamente sul conto di quest’ultima, non costituiscono reddito in capo al dipendente/socio, bensì in capo alla società. Pertanto, non deve essere operata la ritenuta d'acconto. (Agenzia delle Entrate - Risposta 11 gennaio 2022, n. 12).

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda il trattamento fiscale dei compensi per l’incarico di componente del "collegio commissariale" della procedura di amministrazione straordinaria, qualora sia svolto dal dirigente/socio di una società di servizi di consulenza ad imprese ed enti (pubblici e privati), il quale operi in rapporto di esclusiva con la propria società, avvalendosi altresì di risorse proprie della medesima società per svolgere l’incarico, tenuto conto che le somme dovute al commissario dalla procedura di amministrazione straordinaria sono accreditate direttamente sul conto corrente intestato alla società di servizi.
La disciplina che regola le condizioni per lo svolgimento dell’attività di commissari giudiziali e straordinari delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (D.M. 10 aprile 2013, n. 60), prevede che i commissari straordinari sono scelti tra persone in possesso di «diploma di laurea in materie giuridiche, economiche o ingegneristiche o tecnico-scientifiche, o materie equipollenti, ovvero di diploma di ragioniere e perito commerciale, che hanno maturato una esperienza complessiva di almeno cinque anni nell'esercizio di:
1) funzione di amministrazione o di direzione presso imprese pubbliche o private aventi dimensioni comparabili con quelle dell'impresa insolvente;
2) funzioni dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore di attività dell'impresa insolvente e che comportano la gestione di rilevanti risorse economico-finanziarie;
3) funzioni di curatore, commissario giudiziale, commissario liquidatore o commissario straordinario di procedure concorsuali che hanno comportato la gestione di imprese di dimensioni comparabili con quelle dell'impresa insolvente.
La necessità del possesso di requisiti di professionalità e onorabilità, implica che l'incarico di componete del collegio commissariale sia attribuito ad una persona fisica.
Nel caso di specie, l’incarico di commissario straordinario è formalmente attribuito al dirigente/socio, il quale però sostanzialmente lo svolge con il supporto della società da cui dipende e comunque nell’ambito di un vincolo della prestazione lavorativa esclusivamente a favore della medesima società.
Secondo, l’Agenzia delle Entrate, in considerazione della clausola di "esclusività" della prestazione lavorativa del dirigente/socio a favore della società di servizi di cui è dipendente e della circostanza che i compensi per l’incarico di commissario straordinario sono versati direttamente dalla aziende amministrate a favore della stessa, deve ritenersi che le somme siano irrilevanti ai fini Irpef in capo al commissario e, conseguentemente, escluse dall'applicazione della ritenuta d'acconto di cui all'articolo 24 del D.P.R. n. 600 del 1973.
Tali somme concorreranno, invece, alla formazione del reddito in capo alla società di servizi, rilevando ai fini dell'Ires, dell'Irap e dell'Iva, con relativo obbligo di fatturazione.

Contributi a fondo perduto per l’industria conciaria

Il ministro dello sviluppo economico ha firmato il decreto che rende operativa l’erogazione di contributi a fondo perduto per 10 milioni di euro in favore dell’industria conciaria. (MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – Comunicato 08 gennaio 2022)

L’industria conciaria italiana, con le sue imprese distribuite nei vari distretti produttivi, è un importante settore per le produzioni del made in Italy, dalle calzature all’arredamento ma anche nell’ambito dell’automotive. Il Mise sostiene con contributi a fondo perduto il settore per supportare la ripartenza di questa filiera che, dopo le sofferenze dell’emergenza Covid, ha visto nel 2021 i primi segnali di ripresa ma che adesso deve fronteggiare anche il fenomeno dell’aumento dei prezzi delle materie prime, sul quale il Governo è impegnato a trovare soluzioni che siano funzionali a ridurne l’impatto.

La misura è destinata alle imprese appartenenti ad un distretto conciario sul territorio nazionale che presentano, singolarmente o in modalità integrata di filiera, progetti d’investimento in grado di accrescere la competitività attraverso l’introduzione di processi produttivi digitali e innovazioni di prodotto.

Sono ammissibili alle agevolazioni le spese complessivamente non inferiori a 50 mila euro e non superiori a 200 mila euro, che includono anche attività di ricerca industriale o sviluppo sperimentale, nonché garantire la sostenibilità ambientale degli investimenti. La soglia massima delle spese ammissibili si innalza invece a 500 mila euro per progetti integrati di distretto che presentano determinate caratteristiche.

Il decreto, firmato anche dal ministro dell’Economia e delle finanze, è stato inviato alla Corte dei Conti per la registrazione.

Con un prossimo provvedimento ministeriale verranno invece definiti i termini e le modalità per richiedere il contributo a Invitalia, che gestirà la misura per conto del Mise.

Il ministro dello sviluppo economico ha firmato il decreto che rende operativa l’erogazione di contributi a fondo perduto per 10 milioni di euro in favore dell'industria conciaria. (MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO - Comunicato 08 gennaio 2022)

L’industria conciaria italiana, con le sue imprese distribuite nei vari distretti produttivi, è un importante settore per le produzioni del made in Italy, dalle calzature all’arredamento ma anche nell’ambito dell’automotive. Il Mise sostiene con contributi a fondo perduto il settore per supportare la ripartenza di questa filiera che, dopo le sofferenze dell’emergenza Covid, ha visto nel 2021 i primi segnali di ripresa ma che adesso deve fronteggiare anche il fenomeno dell’aumento dei prezzi delle materie prime, sul quale il Governo è impegnato a trovare soluzioni che siano funzionali a ridurne l’impatto.

La misura è destinata alle imprese appartenenti ad un distretto conciario sul territorio nazionale che presentano, singolarmente o in modalità integrata di filiera, progetti d’investimento in grado di accrescere la competitività attraverso l’introduzione di processi produttivi digitali e innovazioni di prodotto.

Sono ammissibili alle agevolazioni le spese complessivamente non inferiori a 50 mila euro e non superiori a 200 mila euro, che includono anche attività di ricerca industriale o sviluppo sperimentale, nonché garantire la sostenibilità ambientale degli investimenti. La soglia massima delle spese ammissibili si innalza invece a 500 mila euro per progetti integrati di distretto che presentano determinate caratteristiche.

Il decreto, firmato anche dal ministro dell'Economia e delle finanze, è stato inviato alla Corte dei Conti per la registrazione.

Con un prossimo provvedimento ministeriale verranno invece definiti i termini e le modalità per richiedere il contributo a Invitalia, che gestirà la misura per conto del Mise.

Coltivatori diretti e imprenditori agricoli: prorogata l’esenzione Irpef

Ulteriore proroga per l’anno 2022 dell’esenzione Irpef in favore dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli (art. 1, co. 25 della L. n. 234/2021)

Dal 2017 viene prorogata di anno in anno la previsione che non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche i redditi dominicali e agrari dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola (art. 1, co. 44, Legge n. 232/2016).
La Legge di Bilancio 2022 ha prorogato l’agevolazione anche per il 2022.
Si ricorda, che l’agevolazione è applicabile esclusivamente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale i quali producono redditi dominicali ed agrari. Pertanto, non possono beneficiare dell’agevolazione i soci delle società in nome collettivo e delle società in accomandita semplice che abbiano optato per la determinazione del reddito su base catastale in quanto il reddito che viene loro attribuito mantiene la natura di reddito d’impresa così espressamente qualificato in capo alle società dal D.M. n. 213 del 2007.
È applicabile, invece, alle società semplici che attribuiscono per trasparenza ai soci persone fisiche – in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale – redditi fondiari.

Ulteriore proroga per l’anno 2022 dell’esenzione Irpef in favore dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli (art. 1, co. 25 della L. n. 234/2021)

Dal 2017 viene prorogata di anno in anno la previsione che non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche i redditi dominicali e agrari dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola (art. 1, co. 44, Legge n. 232/2016).
La Legge di Bilancio 2022 ha prorogato l’agevolazione anche per il 2022.
Si ricorda, che l’agevolazione è applicabile esclusivamente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale i quali producono redditi dominicali ed agrari. Pertanto, non possono beneficiare dell’agevolazione i soci delle società in nome collettivo e delle società in accomandita semplice che abbiano optato per la determinazione del reddito su base catastale in quanto il reddito che viene loro attribuito mantiene la natura di reddito d’impresa così espressamente qualificato in capo alle società dal D.M. n. 213 del 2007.
È applicabile, invece, alle società semplici che attribuiscono per trasparenza ai soci persone fisiche - in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale - redditi fondiari.

Tax credit per le librerie: più risorse con la Legge di Bilancio 2022

Incrementate di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 le risorse destinate al credito d’imposta, introdotto dalla legge di bilancio 2018, in favore dei venditori al dettaglio di libri in esercizi specializzati (art. 1, co. 351, L. n. 234/2021).

A decorrere dall’anno 2018, agli esercenti di attività commerciali che operano nel settore della vendita al dettaglio di libri in esercizi specializzati è riconosciuto, nel limite di spesa di 4 milioni di euro per l’anno 2018 e di 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019, un credito d’imposta parametrato agli importi pagati a titolo di IMU, TASI e TARI con riferimento ai locali dove si svolge la medesima attività di vendita di libri al dettaglio, nonché alle eventuali spese di locazione, anche in relazione all’assenza di librerie nel territorio comunale.

Il credito d’imposta, previsto dalla Legge di Bilancio 2018 (L. n. 205/2017), è rivolto esclusivamente alle attività contraddistinte con il seguente codice ateco:
– 47.61.00: Commercio al dettaglio di libri nuovi in esercizi specializzati;
– 47.79.10: Commercio al dettaglio di libri di seconda mano.

Il credito d’imposta è stabilito nella misura massima di 20.000 euro per gli esercenti di librerie che non risultano ricomprese in gruppi editoriali dagli stessi direttamente gestite e di 10.000 euro per gli altri esercenti.

La Legge di Bilancio 2022 ha incrementato di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 le risorse destinate al credito d’imposta.

Incrementate di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 le risorse destinate al credito d’imposta, introdotto dalla legge di bilancio 2018, in favore dei venditori al dettaglio di libri in esercizi specializzati (art. 1, co. 351, L. n. 234/2021).

A decorrere dall'anno 2018, agli esercenti di attività commerciali che operano nel settore della vendita al dettaglio di libri in esercizi specializzati è riconosciuto, nel limite di spesa di 4 milioni di euro per l'anno 2018 e di 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019, un credito d'imposta parametrato agli importi pagati a titolo di IMU, TASI e TARI con riferimento ai locali dove si svolge la medesima attività di vendita di libri al dettaglio, nonché alle eventuali spese di locazione, anche in relazione all'assenza di librerie nel territorio comunale.

Il credito d’imposta, previsto dalla Legge di Bilancio 2018 (L. n. 205/2017), è rivolto esclusivamente alle attività contraddistinte con il seguente codice ateco:
- 47.61.00: Commercio al dettaglio di libri nuovi in esercizi specializzati;
- 47.79.10: Commercio al dettaglio di libri di seconda mano.

Il credito d'imposta è stabilito nella misura massima di 20.000 euro per gli esercenti di librerie che non risultano ricomprese in gruppi editoriali dagli stessi direttamente gestite e di 10.000 euro per gli altri esercenti.

La Legge di Bilancio 2022 ha incrementato di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 le risorse destinate al credito d’imposta.

Operazioni con la Repubblica di San Marino: modello T2

La qualificazione fiscale della transazione sottostante alla spedizione di merci con trasporto diretto da uno Stato membro diverso dall’Italia verso San Marino, non ha alcuna rilevanza in ordine alla prova che l’operatore deve fornire per attestare che le medesime sono in posizione di libera pratica (Agenzia delle entrate – Risposta 11 gennaio 2022, n. 14).

La Repubblica di San Marino non fa parte del territorio dell’Unione Europea e pertanto gli acquisti o le vendite di beni effettuati da o verso un soggetto passivo IVA, stabilito in uno Stato UE, da un operatore sanmarinese, costituiscono per quest’ultimo un’importazione o un’esportazione da o verso il territorio comunitario. L’assolvimento dell’IVA avverrà pertanto tramite procedura doganale.
Fanno eccezione gli scambi tra l’Italia e la Repubblica di San Marino perché contraddistinti dalla mancanza di una dogana fisica tra i due Stati: in questo caso l’IVA è assolta secondo le modalità indicate nel decreto 26 giugno 2021, che ha abrogato il decreto 24 dicembre 1993.
In merito alle cessioni di beni effettuate da un operatore sammarinese a favore di altro operatore, stabilito in uno Stato UE, diverso dall’Italia, possono avvenire per il tramite del rappresentante fiscale in Italia del cedente sammarinese.
Nel caso di un’importazione di beni in RSM dal territorio comunitario, detto trasferimento di merce deve essere sempre accompagnato dal documento di prova T2.
Infatti, l’articolo 3 della Decisione n. 1/2002 del Comitato di cooperazione tra CE e RSM (che stabilisce, tra l’altro, la documentazione doganale che deve essere utilizzata nell’ambito della circolazione delle merci tra gli Stati membri dell’Unione e la Repubblica di San Marino) ” prevede l’obbligo della presentazione alle Autorità competenti di San Marino di una prova del fatto che le merci sono in libera pratica all’interno dell’Unione.
Tale prova può essere costituita dal Documento di Accompagnamento del Transito (T2 o T2F), dalla prova originale della posizione doganale di merci unionali (T2L o T2LF) o da un documento di effetto equivalente.
Al riguardo, appare utile precisare che la suddetta normativa non prevede alcuna deroga alla presentazione della predetta documentazione.
Pertanto, l’Agenzia ritiene che la qualificazione fiscale della transazione (che nel caso di specie avviene attraverso un rappresentante fiscale stabilito in Italia) sottostante alla spedizione di merci con trasporto diretto da uno Stato membro diverso dall’Italia verso San Marino, non abbia alcuna rilevanza in ordine alla prova che l’operatore deve fornire per attestare che le medesime sono in posizione di libera pratica.

La qualificazione fiscale della transazione sottostante alla spedizione di merci con trasporto diretto da uno Stato membro diverso dall'Italia verso San Marino, non ha alcuna rilevanza in ordine alla prova che l'operatore deve fornire per attestare che le medesime sono in posizione di libera pratica (Agenzia delle entrate - Risposta 11 gennaio 2022, n. 14).

La Repubblica di San Marino non fa parte del territorio dell'Unione Europea e pertanto gli acquisti o le vendite di beni effettuati da o verso un soggetto passivo IVA, stabilito in uno Stato UE, da un operatore sanmarinese, costituiscono per quest'ultimo un'importazione o un'esportazione da o verso il territorio comunitario. L'assolvimento dell'IVA avverrà pertanto tramite procedura doganale.
Fanno eccezione gli scambi tra l'Italia e la Repubblica di San Marino perché contraddistinti dalla mancanza di una dogana fisica tra i due Stati: in questo caso l'IVA è assolta secondo le modalità indicate nel decreto 26 giugno 2021, che ha abrogato il decreto 24 dicembre 1993.
In merito alle cessioni di beni effettuate da un operatore sammarinese a favore di altro operatore, stabilito in uno Stato UE, diverso dall'Italia, possono avvenire per il tramite del rappresentante fiscale in Italia del cedente sammarinese.
Nel caso di un'importazione di beni in RSM dal territorio comunitario, detto trasferimento di merce deve essere sempre accompagnato dal documento di prova T2.
Infatti, l'articolo 3 della Decisione n. 1/2002 del Comitato di cooperazione tra CE e RSM (che stabilisce, tra l'altro, la documentazione doganale che deve essere utilizzata nell'ambito della circolazione delle merci tra gli Stati membri dell'Unione e la Repubblica di San Marino) " prevede l'obbligo della presentazione alle Autorità competenti di San Marino di una prova del fatto che le merci sono in libera pratica all'interno dell'Unione.
Tale prova può essere costituita dal Documento di Accompagnamento del Transito (T2 o T2F), dalla prova originale della posizione doganale di merci unionali (T2L o T2LF) o da un documento di effetto equivalente.
Al riguardo, appare utile precisare che la suddetta normativa non prevede alcuna deroga alla presentazione della predetta documentazione.
Pertanto, l’Agenzia ritiene che la qualificazione fiscale della transazione (che nel caso di specie avviene attraverso un rappresentante fiscale stabilito in Italia) sottostante alla spedizione di merci con trasporto diretto da uno Stato membro diverso dall'Italia verso San Marino, non abbia alcuna rilevanza in ordine alla prova che l'operatore deve fornire per attestare che le medesime sono in posizione di libera pratica.

Legge di Bilancio 2022: prorogato il bonus acqua potabile

La Legge di Bilancio 2022 ha prorogato al 2023 il credito introdotto per razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica. Il bonus spetta per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e addizione di anidride carbonica alimentare, finalizzati a migliorare la qualità delle acque destinate al consumo umano.

La Legge di Bilancio 2021 ha previsto, allo scopo di razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica, un credito d’imposta nella misura del 50% delle spese sostenute tra il 1° gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022 per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e/o addizione di anidride carbonica alimentare finalizzati al miglioramento qualitativo delle acque per il consumo umano erogate da acquedotti.

Il credito d’imposta è riconosciuto alle persone fisiche nonché ai soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni e agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, fino a un ammontare complessivo delle spese non superiore, per le persone fisiche non esercenti attività economica, a 1.000 euro per ciascuna unità immobiliare e, per gli altri soggetti, a 5.000 euro per ciascun immobile adibito all’attività commerciale o istituzionale.

Il credito d’imposta, per ciascun beneficiario, è pari al 50% delle spese complessive risultanti dall’ultima Comunicazione validamente presentata, in assenza di successiva rinuncia.

In ogni caso, l’ammontare complessivo delle spese non può essere superiore, per le persone fisiche non esercenti attività economica, a 1.000 euro per ciascuna unità immobiliare e, per gli altri soggetti, a 5.000 euro per ciascun immobile adibito all’attività commerciale o istituzionale.

Inizialmente, il credito poteva essere richiesto per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2022. Con la Legge di Bilancio 2022, il credito può essere richiesto anche per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2023.

La Legge di Bilancio 2022 ha prorogato al 2023 il credito introdotto per razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica. Il bonus spetta per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e addizione di anidride carbonica alimentare, finalizzati a migliorare la qualità delle acque destinate al consumo umano.

La Legge di Bilancio 2021 ha previsto, allo scopo di razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica, un credito d’imposta nella misura del 50% delle spese sostenute tra il 1° gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022 per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e/o addizione di anidride carbonica alimentare finalizzati al miglioramento qualitativo delle acque per il consumo umano erogate da acquedotti.

Il credito d’imposta è riconosciuto alle persone fisiche nonché ai soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni e agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, fino a un ammontare complessivo delle spese non superiore, per le persone fisiche non esercenti attività economica, a 1.000 euro per ciascuna unità immobiliare e, per gli altri soggetti, a 5.000 euro per ciascun immobile adibito all’attività commerciale o istituzionale.

Il credito d’imposta, per ciascun beneficiario, è pari al 50% delle spese complessive risultanti dall’ultima Comunicazione validamente presentata, in assenza di successiva rinuncia.

In ogni caso, l’ammontare complessivo delle spese non può essere superiore, per le persone fisiche non esercenti attività economica, a 1.000 euro per ciascuna unità immobiliare e, per gli altri soggetti, a 5.000 euro per ciascun immobile adibito all’attività commerciale o istituzionale.

Inizialmente, il credito poteva essere richiesto per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2022. Con la Legge di Bilancio 2022, il credito può essere richiesto anche per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2023.

Dichiarazione dei redditi congiunta: coniuge coobbligato in solido

Dichiarazione dei redditi congiunta: coniuge coobbligato in solido

La responsabilità solidale dei coniugi, che abbiano presentato “dichiarazione congiunta”, opera anche nel caso in cui il coniuge co-dichiarante sia estraneo alla produzione dei redditi accertati nei confronti del dichiarante (Corte di cassazione – Sez. trib. – Ordinanza 05 gennaio 2022, n. 262).

L’art. 17 I. 114/1977 (nella versione applicabile ratione temporis), nel prevedere che i coniugi non separati hanno la facoltà di presentare su unico modello la dichiarazione unica dei redditi di ciascuno di essi, dispone che:
– le somme dovute vanno iscritte a ruolo a nome del marito e che la conseguente cartella va a questi notificata nonché che gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi con notifica eseguita nei confronti dei marito ed, altresì;
– i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie ed interessi iscritti a ruolo a nome del marito.
Con la libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti accettano anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell’istituto e, specificamente, sia quelli inerenti alla previsione della notifica degli atti impositivi al solo marito sia quelli concernenti le conseguenze (sostanziali e processuali) proprie delle obbligazioni solidali; ciò, fatta, tuttavia, salva la possibilità per la moglie di contestare, nel merito, l’obbligazione del marito, entro i termini decorrenti dalla notifica dell’atto con il quale venga per la prima volta a conoscenza della pretesa tributaria nei confronti del coniuge, cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per il coniuge. Da tale premessa consegue che la responsabilità solidale dei coniugi, che abbiano presentato “dichiarazione congiunta”, opera anche nel caso in cui il coniuge co-dichiarante sia estraneo alla produzione dei redditi accertati nei confronti del dichiarante e, addirittura, quando detti redditi siano provento di illecito penale da esso commesso.
Pertanto, l’accertamento dell’avvenuta notificazione dell’avviso di accertamento al coniuge, ove non impugnato, spiega i suoi effetti nei confronti della contribuente, posto che la legittimazione della co-dichiarante all’autonoma impugnazione dell’avviso di accertamento notificato al marito persiste pur quando divenuto definitivo nei confronti di quest’ultimo.

Dichiarazione dei redditi congiunta: coniuge coobbligato in solido

La responsabilità solidale dei coniugi, che abbiano presentato "dichiarazione congiunta", opera anche nel caso in cui il coniuge co-dichiarante sia estraneo alla produzione dei redditi accertati nei confronti del dichiarante (Corte di cassazione - Sez. trib. - Ordinanza 05 gennaio 2022, n. 262).

L'art. 17 I. 114/1977 (nella versione applicabile ratione temporis), nel prevedere che i coniugi non separati hanno la facoltà di presentare su unico modello la dichiarazione unica dei redditi di ciascuno di essi, dispone che:
- le somme dovute vanno iscritte a ruolo a nome del marito e che la conseguente cartella va a questi notificata nonché che gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi con notifica eseguita nei confronti dei marito ed, altresì;
- i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell'imposta, soprattasse, pene pecuniarie ed interessi iscritti a ruolo a nome del marito.
Con la libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti accettano anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell'istituto e, specificamente, sia quelli inerenti alla previsione della notifica degli atti impositivi al solo marito sia quelli concernenti le conseguenze (sostanziali e processuali) proprie delle obbligazioni solidali; ciò, fatta, tuttavia, salva la possibilità per la moglie di contestare, nel merito, l'obbligazione del marito, entro i termini decorrenti dalla notifica dell'atto con il quale venga per la prima volta a conoscenza della pretesa tributaria nei confronti del coniuge, cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per il coniuge. Da tale premessa consegue che la responsabilità solidale dei coniugi, che abbiano presentato "dichiarazione congiunta", opera anche nel caso in cui il coniuge co-dichiarante sia estraneo alla produzione dei redditi accertati nei confronti del dichiarante e, addirittura, quando detti redditi siano provento di illecito penale da esso commesso.
Pertanto, l’accertamento dell’avvenuta notificazione dell’avviso di accertamento al coniuge, ove non impugnato, spiega i suoi effetti nei confronti della contribuente, posto che la legittimazione della co-dichiarante all'autonoma impugnazione dell'avviso di accertamento notificato al marito persiste pur quando divenuto definitivo nei confronti di quest'ultimo.

Fisco: ulteriori precisazioni sul Superbonus

In materia di Superbonus, forniti chiarimenti sugli interventi di efficientamento energetico in un condominio composto da più edifici, sul calcolo del rapporto tra la superficie delle unità immobiliari residenziali e sulla superficie delle unità non residenziali (Agenzia delle entrate – Risposta 11 gennaio 2022, n. 10).

Il Superbonus spetta a fronte del sostenimento delle spese relative a taluni specifici interventi finalizzati alla riqualificazione energetica e all’adozione di misure antisismiche degli edifici (interventi ” trainanti”) nonché ad ulteriori interventi, realizzati congiuntamente ai primi (interventi ” trainati”) ed eseguiti, tra l’altro, dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione, su singole unità immobiliari residenziali e su parti comuni di edifici residenziali in condominio situati nel territorio dello Stato.
In caso di interventi realizzati sulle parti comuni di un edificio in condominio, le relative spese possono essere considerate, ai fini del calcolo della detrazione, soltanto se riguardano un edificio residenziale considerato nella sua interezza utilizzando un principio di “prevalenza” della funzione residenziale rispetto all’intero edificio.
Ciò implica che, qualora la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza ricomprese nell’edificio in condominio sia superiore al 50 per cento dell’intera superficie dell’edificio stesso, è possibile ammettere al Superbonus, anche il proprietario e il detentore di unità immobiliari non residenziali che sostengono spese, in qualità di condòmini, per interventi sulle parti comuni di tale edificio.
Qualora, invece, la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza sia inferiore al 50 per cento, il Superbonus riferito alle spese per interventi realizzati sulle parti comuni spetta solo ai possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nel medesimo edificio. In tale ultimo caso, inoltre, i soli possessori di unità immobiliari residenziali potranno fruire del Superbonus anche per interventi ” trainati” realizzati su tali unità immobiliari, sempreché queste ultime non rientrino tra le categorie catastali A/1, A/8 e A/9, escluse dal beneficio.
Ai fini del calcolo della superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza vanno conteggiate tutte le unità immobiliari residenziali facenti parte dell’edificio, comprese quelle rientranti nelle predette categorie catastali escluse dal Superbonus (A/1, A/8 e A/9).
In riferimento alla questione relativa alla verifica della prevalente funzione residenziale di un condominio composto da tre edifici, tale verifica va effettuata tenendo conto di tutti di edifici che compongono il condominio e, pertanto, anche dell’edificio C a nulla rilevando che quest’ultimo non abbia servizi energetici in comune con gli altri due edifici e che sia eventualmente provvisto di accesso autonomo dall’esterno.
La sussistenza dei requisiti dell’indipendenza funzionale e della presenza di accesso autonomo dall’esterno rileva, infatti, al solo fine di identificare le unità immobiliari unifamiliari o le unità immobiliari all’interno di edifici plurifamiliari e non anche ai fini della individuazione degli edifici in condominio.
Nel caso di specie, considerato che la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza è pari al 45 per cento della superficie complessiva dei tre edifici, il Superbonus riferito alle spese per interventi realizzati sulle parti comuni spetta solo ai possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione che potranno fruire della detrazione anche relativamente alle spese sostenute per interventi ” trainati” realizzati sulle singole unità immobiliari residenziali sempreché non rientranti tra le categorie catastali escluse dal beneficio (A/1, A/8 e A/9), nel rispetto di ogni altra condizione richiesta dalla normativa in esame e ferma restando l’effettuazione di ogni adempimento previsto.

In materia di Superbonus, forniti chiarimenti sugli interventi di efficientamento energetico in un condominio composto da più edifici, sul calcolo del rapporto tra la superficie delle unità immobiliari residenziali e sulla superficie delle unità non residenziali (Agenzia delle entrate - Risposta 11 gennaio 2022, n. 10).

Il Superbonus spetta a fronte del sostenimento delle spese relative a taluni specifici interventi finalizzati alla riqualificazione energetica e all'adozione di misure antisismiche degli edifici (interventi " trainanti") nonché ad ulteriori interventi, realizzati congiuntamente ai primi (interventi " trainati") ed eseguiti, tra l'altro, dalle persone fisiche, al di fuori dell'esercizio di attività di impresa, arte o professione, su singole unità immobiliari residenziali e su parti comuni di edifici residenziali in condominio situati nel territorio dello Stato.
In caso di interventi realizzati sulle parti comuni di un edificio in condominio, le relative spese possono essere considerate, ai fini del calcolo della detrazione, soltanto se riguardano un edificio residenziale considerato nella sua interezza utilizzando un principio di "prevalenza" della funzione residenziale rispetto all'intero edificio.
Ciò implica che, qualora la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza ricomprese nell'edificio in condominio sia superiore al 50 per cento dell'intera superficie dell'edificio stesso, è possibile ammettere al Superbonus, anche il proprietario e il detentore di unità immobiliari non residenziali che sostengono spese, in qualità di condòmini, per interventi sulle parti comuni di tale edificio.
Qualora, invece, la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza sia inferiore al 50 per cento, il Superbonus riferito alle spese per interventi realizzati sulle parti comuni spetta solo ai possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nel medesimo edificio. In tale ultimo caso, inoltre, i soli possessori di unità immobiliari residenziali potranno fruire del Superbonus anche per interventi " trainati" realizzati su tali unità immobiliari, sempreché queste ultime non rientrino tra le categorie catastali A/1, A/8 e A/9, escluse dal beneficio.
Ai fini del calcolo della superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza vanno conteggiate tutte le unità immobiliari residenziali facenti parte dell'edificio, comprese quelle rientranti nelle predette categorie catastali escluse dal Superbonus (A/1, A/8 e A/9).
In riferimento alla questione relativa alla verifica della prevalente funzione residenziale di un condominio composto da tre edifici, tale verifica va effettuata tenendo conto di tutti di edifici che compongono il condominio e, pertanto, anche dell'edificio C a nulla rilevando che quest'ultimo non abbia servizi energetici in comune con gli altri due edifici e che sia eventualmente provvisto di accesso autonomo dall'esterno.
La sussistenza dei requisiti dell'indipendenza funzionale e della presenza di accesso autonomo dall'esterno rileva, infatti, al solo fine di identificare le unità immobiliari unifamiliari o le unità immobiliari all'interno di edifici plurifamiliari e non anche ai fini della individuazione degli edifici in condominio.
Nel caso di specie, considerato che la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza è pari al 45 per cento della superficie complessiva dei tre edifici, il Superbonus riferito alle spese per interventi realizzati sulle parti comuni spetta solo ai possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione che potranno fruire della detrazione anche relativamente alle spese sostenute per interventi " trainati" realizzati sulle singole unità immobiliari residenziali sempreché non rientranti tra le categorie catastali escluse dal beneficio (A/1, A/8 e A/9), nel rispetto di ogni altra condizione richiesta dalla normativa in esame e ferma restando l'effettuazione di ogni adempimento previsto.