Agevolazioni “prima casa” su immobili in costruzione

In caso di immobile in costruzione acquistato usufruendo delle agevolazioni “prima casa”, i lavori di costruzione devono essere ultimati entro il termine di tre anni dalla registrazione dell’atto di compravendita. Il mancato rispetto del termine comporta la revoca dei benefici. (Corte di Cassazione – Sentenza 17 febbraio 2022, n. 5180).

La controversia riguarda la revoca delle agevolazioni “prima casa” in relazione all’acquisto di un immobile in costruzione, in seguito al parziale accatastamento con sdoppiamento in due unità immobiliari di cui una ad uso abitativo e l’altra risultante ancora in costruzione.
I giudici tributari hanno accolto il ricorso del contribuente, affermando l’illegittimità della pretesa tributaria in ragione del fatto che tutto l’immobile costituiva un’unica abitazione e lo “sdoppiamento” catastale, avvenuto successivamente all’acquisto, aveva natura “tecnica” e non sostanziale.
La decisione è stata riformata dalla Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha eccepito la legittimità della revoca dei benefici “prima casa” in considerazione della mancata ultimazione dei lavori entro il termine di decadenza imposto all’Amministrazione per i dovuti controlli sul rispetto dei requisiti di spettanza (tre anni dalla registrazione dell’atto di compravendita).

La Corte Suprema ha affermato che non vi è dubbio che i cd. benefici “prima casa” debbano essere riconosciuti anche nel caso di immobili in corso di costruzione; la norma agevolativa intende promuovere e favorire l’acquisto della casa da adibire a prima abitazione, sicché è sufficiente che ad una simile finalità tenda l’acquirente con l’atto di trasferimento, purché l’immobile acquistato sia idoneo ad essere utilizzato come alloggio e presenti le caratteristiche delle abitazioni non di lusso. Da ciò consegue che richiedere la presenza degli elementi “distintivi” già al momento della cessione dell’immobile, finirebbe per escludere dalla procedura agevolativa proprio l’acquisto di appartamenti di nuova abitazione che di solito avviene prima che la costruzione sia ultimata.
Oltre a ciò rileva la stessa natura giuridica dell’imposta di registro che, in quanto imposta d’atto, va applicata mediante una valutazione della clausole negoziali, quali si desumono dal documento sottoposto registrazione; di talché, se nell’atto il contribuente dichiara di non possedere altro fabbricato o porzione di fabbricato destinato ad abitazione nel Comune di residenza, di voler adibire l’immobile acquistato a propria abitazione e che si tratta di fabbricato o porzione di fabbricato destinato ad abitazione non di lusso, l’agevolazione deve essere riconosciuta, in quanto ciò che la legge chiede è che oggetto del trasferimento sia un fabbricato destinato ad abitazione, cioè che sia strutturalmente adeguato ad essere destinato all’uso e non occorre che esso sia già idoneo al momento dell’acquisto.
Sulla base di tali principi, dunque, si è affermato in giurisprudenza l’orientamento che riconosce i benefici della “prima casa” all’acquirente di immobile “in corso di costruzione” da destinare ad abitazione “non di lusso”.
Considerato che la norma agevolativa non prevede un termine per l’ultimazione dei lavori di costruzione dell’immobile, deve ritenersi applicabile il principio generale secondo il quale, quando la legge non ha fissato in modo specifico un termine entro il quale si deve verificare una condizione dalla quale dipenda la concessione di un beneficio, tale termine non potrà essere mai più ampio di quello previsto per i controlli, i quali, diversamente, non avrebbero alcun senso.
Pertanto, nel caso di agevolazioni “prima casa” fruite per un immobile in costruzione, il contribuente deve realizzare la finalità dichiarata di destinare a “prima casa” l’immobile acquistato entro tre anni dalla richiesta di registrazione dell’atto di compravendita; ne consegue che entro detto termine devono essere ultimati i lavori, pena la revoca dei benefici.
Una diversa interpretazione che posticipi i controlli alla data di ultimazione dei lavori, comporterebbe un differimento sine die dell’attività di verifica, privandola di significato.
Nel caso di specie, il contribuente ha provveduto entro il termine triennale ad attribuire a parte dell’immobile la categoria A/2, e ad altra parte la categoria F/3 (fabbricati in corso di costruzione) avente carattere provvisorio, legittimando la revoca dell’agevolazione, in considerazione della mancata realizzazione della finalità dichiarata nell’atto di acquisto.

In caso di immobile in costruzione acquistato usufruendo delle agevolazioni "prima casa", i lavori di costruzione devono essere ultimati entro il termine di tre anni dalla registrazione dell’atto di compravendita. Il mancato rispetto del termine comporta la revoca dei benefici. (Corte di Cassazione - Sentenza 17 febbraio 2022, n. 5180).

La controversia riguarda la revoca delle agevolazioni "prima casa" in relazione all’acquisto di un immobile in costruzione, in seguito al parziale accatastamento con sdoppiamento in due unità immobiliari di cui una ad uso abitativo e l'altra risultante ancora in costruzione.
I giudici tributari hanno accolto il ricorso del contribuente, affermando l’illegittimità della pretesa tributaria in ragione del fatto che tutto l'immobile costituiva un'unica abitazione e lo "sdoppiamento" catastale, avvenuto successivamente all'acquisto, aveva natura "tecnica" e non sostanziale.
La decisione è stata riformata dalla Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha eccepito la legittimità della revoca dei benefici "prima casa" in considerazione della mancata ultimazione dei lavori entro il termine di decadenza imposto all'Amministrazione per i dovuti controlli sul rispetto dei requisiti di spettanza (tre anni dalla registrazione dell'atto di compravendita).

La Corte Suprema ha affermato che non vi è dubbio che i cd. benefici "prima casa" debbano essere riconosciuti anche nel caso di immobili in corso di costruzione; la norma agevolativa intende promuovere e favorire l'acquisto della casa da adibire a prima abitazione, sicché è sufficiente che ad una simile finalità tenda l'acquirente con l'atto di trasferimento, purché l'immobile acquistato sia idoneo ad essere utilizzato come alloggio e presenti le caratteristiche delle abitazioni non di lusso. Da ciò consegue che richiedere la presenza degli elementi "distintivi" già al momento della cessione dell'immobile, finirebbe per escludere dalla procedura agevolativa proprio l'acquisto di appartamenti di nuova abitazione che di solito avviene prima che la costruzione sia ultimata.
Oltre a ciò rileva la stessa natura giuridica dell'imposta di registro che, in quanto imposta d'atto, va applicata mediante una valutazione della clausole negoziali, quali si desumono dal documento sottoposto registrazione; di talché, se nell'atto il contribuente dichiara di non possedere altro fabbricato o porzione di fabbricato destinato ad abitazione nel Comune di residenza, di voler adibire l'immobile acquistato a propria abitazione e che si tratta di fabbricato o porzione di fabbricato destinato ad abitazione non di lusso, l'agevolazione deve essere riconosciuta, in quanto ciò che la legge chiede è che oggetto del trasferimento sia un fabbricato destinato ad abitazione, cioè che sia strutturalmente adeguato ad essere destinato all'uso e non occorre che esso sia già idoneo al momento dell'acquisto.
Sulla base di tali principi, dunque, si è affermato in giurisprudenza l’orientamento che riconosce i benefici della "prima casa" all'acquirente di immobile "in corso di costruzione" da destinare ad abitazione "non di lusso".
Considerato che la norma agevolativa non prevede un termine per l'ultimazione dei lavori di costruzione dell'immobile, deve ritenersi applicabile il principio generale secondo il quale, quando la legge non ha fissato in modo specifico un termine entro il quale si deve verificare una condizione dalla quale dipenda la concessione di un beneficio, tale termine non potrà essere mai più ampio di quello previsto per i controlli, i quali, diversamente, non avrebbero alcun senso.
Pertanto, nel caso di agevolazioni "prima casa" fruite per un immobile in costruzione, il contribuente deve realizzare la finalità dichiarata di destinare a "prima casa" l'immobile acquistato entro tre anni dalla richiesta di registrazione dell'atto di compravendita; ne consegue che entro detto termine devono essere ultimati i lavori, pena la revoca dei benefici.
Una diversa interpretazione che posticipi i controlli alla data di ultimazione dei lavori, comporterebbe un differimento sine die dell’attività di verifica, privandola di significato.
Nel caso di specie, il contribuente ha provveduto entro il termine triennale ad attribuire a parte dell'immobile la categoria A/2, e ad altra parte la categoria F/3 (fabbricati in corso di costruzione) avente carattere provvisorio, legittimando la revoca dell’agevolazione, in considerazione della mancata realizzazione della finalità dichiarata nell’atto di acquisto.

Agevolazione prima casa: in caso di decadenza non può essere fruita nuovamente

Non può richiedere una nuova agevolazione prima casa il contribuente che precedentemente ha già fruito dell’agevolazione poi decaduta per mancato trasferimento della residenza (Corte di cassazione – ordinanza 04 marzo 2022, n. 7198).

Cosi si è espressa la Corte di Cassazione disconoscendo una nuova riduzione fiscale nei confronti di un contribuente decaduto dall’agevolazione prima casa, goduta con un precedente atto, non avendo mai trasferito la residenza presso l’immobile precedentemente acquistato.
La nota II bis, dell’art. 1 della Tariffa , Parte I allegata al D.P.R. n. 131/1986 che disciplina il regime delle agevolazione prima casa stabilisce: “Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 4 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o consuntivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’ambientazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni:…. c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo…”.
Dalla lettura di tale norma si evince, quindi, che requisito soggettivo per ottenere il beneficio della riduzione dell’imposta è quello di non avere usufruito di una precedente agevolazione.
Nel caso di specie è pacifico che il ricorrente si è avvalso del beneficio fiscale della prima casa con l’atto di acquisto del 2014 dopo che con precedente atto negoziale del 2003 aveva usufruito di identica agevolazione.
A nulla rileva, ai fini del rilevamento dell’impedimento ad ottenere un nuovo beneficio, la circostanza che il contribuente non sia mai andato ad abitare presso l’immobile acquistato nel 2003 ponendo in essere i presupposti per la decadenza dell’agevolazione.
Non risulta, infatti, né una formale rinuncia al beneficio fiscale da parte del contribuente, che non ha mai provveduto a versare l’imposta nella sua interezza, né l’esperimento da parte dell’Ufficio dell’azione accertatrice della decadenza del beneficio, ormai non più possibile stante il rilevante lasso di tempo trascorso dalla prima agevolazione i risalente al 2003, e del recupero della differenza del tributo.

Non può richiedere una nuova agevolazione prima casa il contribuente che precedentemente ha già fruito dell’agevolazione poi decaduta per mancato trasferimento della residenza (Corte di cassazione - ordinanza 04 marzo 2022, n. 7198).

Cosi si è espressa la Corte di Cassazione disconoscendo una nuova riduzione fiscale nei confronti di un contribuente decaduto dall’agevolazione prima casa, goduta con un precedente atto, non avendo mai trasferito la residenza presso l'immobile precedentemente acquistato.
La nota II bis, dell'art. 1 della Tariffa , Parte I allegata al D.P.R. n. 131/1986 che disciplina il regime delle agevolazione prima casa stabilisce: "Ai fini dell'applicazione dell'aliquota del 4 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o consuntivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'ambientazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni:.... c) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo...".
Dalla lettura di tale norma si evince, quindi, che requisito soggettivo per ottenere il beneficio della riduzione dell'imposta è quello di non avere usufruito di una precedente agevolazione.
Nel caso di specie è pacifico che il ricorrente si è avvalso del beneficio fiscale della prima casa con l'atto di acquisto del 2014 dopo che con precedente atto negoziale del 2003 aveva usufruito di identica agevolazione.
A nulla rileva, ai fini del rilevamento dell'impedimento ad ottenere un nuovo beneficio, la circostanza che il contribuente non sia mai andato ad abitare presso l'immobile acquistato nel 2003 ponendo in essere i presupposti per la decadenza dell'agevolazione.
Non risulta, infatti, né una formale rinuncia al beneficio fiscale da parte del contribuente, che non ha mai provveduto a versare l'imposta nella sua interezza, né l'esperimento da parte dell'Ufficio dell'azione accertatrice della decadenza del beneficio, ormai non più possibile stante il rilevante lasso di tempo trascorso dalla prima agevolazione i risalente al 2003, e del recupero della differenza del tributo.

Prodotti panetteria ordinaria: aliquota IVA agevolata

Forniti ulteriori chiarimenti sull’aliquota IVA agevolata applicabile alle erbe aromatiche e spezie di uso comune (Agenzia delle entrate – Risposta 08 marzo 2022, n. 98).

Per quanto concerne l’aliquota IVA applicabile ai prodotti erbe aromatiche e spezie di uso comune, alla luce della classificazione effettuata da ADM e della norma di interpretazione autentica della Legge di Bilancio 2019, L’Agenzia ritiene che gli stessi rientrino nell’ambito del n. 15) della Tabella A, parte II, allegata al Decreto IVA, con conseguente applicazione dell’IVA nella misura del 4 per cento.
Per quanto riguarda l’espressione “erbe aromatiche e spezie di uso comune”, l’Agenzia conferma che la stessa non fa riferimento a un elenco tassativo ben definito. Non può dunque che essere intesa come espressione atecnica, finalizzata a comprendere tutte quelle comunemente usate nell’alimentazione nel periodo storico di riferimento.
Per quanto riguarda le spezie, infine, si può fare riferimento al capitolo 9 della Nomenclatura combinata, tra cui rientrano tra gli altri, ad esempio, anche zenzero, zafferano, curcuma, coriandolo, che oggi possono essere considerati di uso comune.

Forniti ulteriori chiarimenti sull’aliquota IVA agevolata applicabile alle erbe aromatiche e spezie di uso comune (Agenzia delle entrate - Risposta 08 marzo 2022, n. 98).

Per quanto concerne l'aliquota IVA applicabile ai prodotti erbe aromatiche e spezie di uso comune, alla luce della classificazione effettuata da ADM e della norma di interpretazione autentica della Legge di Bilancio 2019, L’Agenzia ritiene che gli stessi rientrino nell'ambito del n. 15) della Tabella A, parte II, allegata al Decreto IVA, con conseguente applicazione dell'IVA nella misura del 4 per cento.
Per quanto riguarda l'espressione "erbe aromatiche e spezie di uso comune", l’Agenzia conferma che la stessa non fa riferimento a un elenco tassativo ben definito. Non può dunque che essere intesa come espressione atecnica, finalizzata a comprendere tutte quelle comunemente usate nell'alimentazione nel periodo storico di riferimento.
Per quanto riguarda le spezie, infine, si può fare riferimento al capitolo 9 della Nomenclatura combinata, tra cui rientrano tra gli altri, ad esempio, anche zenzero, zafferano, curcuma, coriandolo, che oggi possono essere considerati di uso comune.

Crediti ceduti pro solvendo: deducibilità accantonamento al fondo svalutazione

In caso di cessione di crediti pro solvendo, la quota di accantonamento al fondo rischi riferita a tali crediti deve ritenersi deducibile se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente (Corte di Cassazione – Sentenza 03 marzo 2022, n. 7112).

Nell’ambito di una controversia riguardante il recupero a tassazione IRES della quota di accantonamento del fondo svalutazione crediti, ritenuta indeducibile, per la parte relativa ai crediti ceduti pro solvendo dalla contribuente, la Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità della pretesa tributaria decisa dai giudici tributari, sulla base dei seguenti principi:
in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, gli accantonamenti iscritti nel fondo di copertura di rischi su crediti devono ritenersi deducibili anche nell’ipotesi in cui il credito sia stato oggetto di cessione “pro solvendo”, come accade nello sconto bancario di titoli rappresentativi di crediti: se è vero, infatti, che in tal caso il cedente non è più titolare del credito, è altrettanto vero, però, che il trasferimento dello stesso in favore del cessionario è risolutivamente condizionato all’inadempimento del debitore ceduto, il quale comporta la retrocessione del credito, nessun rilievo, in proposito, assume il carattere solo eventuale della retrocessione, bastando il relativo rischio a dar rilevanza al momento economico dell’operazione, in ossequio alla “ratio” della norma che esclude la deducibilità per i soli crediti coperti da garanzia assicurativa, in quanto assicurati contro il rischio dell’insolvenza, e non anche per quelli per i quali tale rischio rimane a carico esclusivo del cedente.
La deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, dunque, si applica ai crediti ceduti “pro solvendo” se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente.

In caso di cessione di crediti pro solvendo, la quota di accantonamento al fondo rischi riferita a tali crediti deve ritenersi deducibile se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente (Corte di Cassazione - Sentenza 03 marzo 2022, n. 7112).

Nell’ambito di una controversia riguardante il recupero a tassazione IRES della quota di accantonamento del fondo svalutazione crediti, ritenuta indeducibile, per la parte relativa ai crediti ceduti pro solvendo dalla contribuente, la Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità della pretesa tributaria decisa dai giudici tributari, sulla base dei seguenti principi:
in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, gli accantonamenti iscritti nel fondo di copertura di rischi su crediti devono ritenersi deducibili anche nell’ipotesi in cui il credito sia stato oggetto di cessione "pro solvendo", come accade nello sconto bancario di titoli rappresentativi di crediti: se è vero, infatti, che in tal caso il cedente non è più titolare del credito, è altrettanto vero, però, che il trasferimento dello stesso in favore del cessionario è risolutivamente condizionato all’inadempimento del debitore ceduto, il quale comporta la retrocessione del credito, nessun rilievo, in proposito, assume il carattere solo eventuale della retrocessione, bastando il relativo rischio a dar rilevanza al momento economico dell’operazione, in ossequio alla "ratio" della norma che esclude la deducibilità per i soli crediti coperti da garanzia assicurativa, in quanto assicurati contro il rischio dell’insolvenza, e non anche per quelli per i quali tale rischio rimane a carico esclusivo del cedente.
La deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, dunque, si applica ai crediti ceduti "pro solvendo" se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente.

Servizi di demolizione nave: non imponibilità

Solo in presenza di tutti i requisiti sia sostanziali che procedurali è possibile emettere fattura in regime di non imponibilità (AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 08 marzo 2022, n. 97)

Nella fattispecie esaminata dal Fisco  una srl in qualità di prestatore di servizi relativi alla demolizione delle navi di cui alla lett. a) del 1° comma dell’art. 8 bis del Decreto IVA riferisce di avere ricevuto incarico da una S.p.a. di effettuare lavorazioni connesse alla demolizione su una nave soggetta a sequestro da svariati anni che conseguentemente non ha effettuato nell’anno precedente alcun viaggio in alto mare.
Pertanto la S.p.a. non ha inviato telematicamente alcuna dichiarazione di alto mare di cui al comma 3, dell’articolo 8-bis del Decreto IVA, in quanto trattasi di nave destinata alla demolizione.
La demolizione è stata portata a termine dalla S.p.a.
A riguardo la srl chiede di sapere se possa fatturare l’operazione in regime di non imponibilità IVA ex articolo 8-bis del Decreto IVA.
Per l’Amministrazione finanziaria la Srl sembra essere un “fornitore indiretto” avendo ricevuto l’incarico di effettuate alcune lavorazioni dalla S.p.a.
In proposito, pertanto, ha precisato che il fornitore diretto deve trasmettere/comunicare gli estremi del protocollo della dichiarazione, rilasciato dall’Agenzia delle entrate, ai propri cedenti e prestatori (i. e. fornitori indiretti) che abbiano titolo ad applicare il regime di non imponibilità ai sensi dell’articolo 8-bis. Infatti, ciascun fornitore, diretto o indiretto, è tenuto ad indicare il protocollo della dichiarazione rilasciato dall’Agenzia delle entrate nelle fatture emesse.
In conclusione solo in presenza di tutti i requisiti  sia sostanziali che procedurali, sarà possibile emettere fattura in regime di non imponibilità ai sensi dell’articolo 8-bis.

Solo in presenza di tutti i requisiti sia sostanziali che procedurali è possibile emettere fattura in regime di non imponibilità (AGENZIA DELLE ENTRATE - Risposta 08 marzo 2022, n. 97)

Nella fattispecie esaminata dal Fisco  una srl in qualità di prestatore di servizi relativi alla demolizione delle navi di cui alla lett. a) del 1° comma dell'art. 8 bis del Decreto IVA riferisce di avere ricevuto incarico da una S.p.a. di effettuare lavorazioni connesse alla demolizione su una nave soggetta a sequestro da svariati anni che conseguentemente non ha effettuato nell'anno precedente alcun viaggio in alto mare.
Pertanto la S.p.a. non ha inviato telematicamente alcuna dichiarazione di alto mare di cui al comma 3, dell'articolo 8-bis del Decreto IVA, in quanto trattasi di nave destinata alla demolizione.
La demolizione è stata portata a termine dalla S.p.a.
A riguardo la srl chiede di sapere se possa fatturare l'operazione in regime di non imponibilità IVA ex articolo 8-bis del Decreto IVA.
Per l’Amministrazione finanziaria la Srl sembra essere un "fornitore indiretto" avendo ricevuto l'incarico di effettuate alcune lavorazioni dalla S.p.a.
In proposito, pertanto, ha precisato che il fornitore diretto deve trasmettere/comunicare gli estremi del protocollo della dichiarazione, rilasciato dall'Agenzia delle entrate, ai propri cedenti e prestatori (i. e. fornitori indiretti) che abbiano titolo ad applicare il regime di non imponibilità ai sensi dell'articolo 8-bis. Infatti, ciascun fornitore, diretto o indiretto, è tenuto ad indicare il protocollo della dichiarazione rilasciato dall'Agenzia delle entrate nelle fatture emesse.
In conclusione solo in presenza di tutti i requisiti  sia sostanziali che procedurali, sarà possibile emettere fattura in regime di non imponibilità ai sensi dell'articolo 8-bis.

Visto di conformità: meno vincoli per il rilascio da parte dei soci delle STP

I soci delle Società tra professionisti esercenti attività di assistenza fiscale possono rilasciare il visto di conformità anche quando la maggioranza del capitale sociale non è detenuta da professionisti iscritti agli albi purché sia disposto che i soci certificatori detengano il controllo dei diritti di voto della società (Agenzia Entrate – risoluzione 04 marzo 2022, n. 10).

In un precedente documento di prassi del 2016 l’Agenzia delle Entrate ha avuto già modo di chiarire le condizione che devono essere rispettate affinchè il professionista socio di una società tra professionisti, abilitata alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, possa apporre il visto di conformità (art. 35, D.Lgs. n. 241/1997), utilizzando la partita IVA della società tra professionisti. Nel documento fu evidenziato che il presidio della qualificazione professionale e della fede pubblica appare rafforzato nella società tra professionisti rispetto alla società commerciale di servizi contabili, posto che i soci della prima sono unicamente professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi (soci non professionisti sono ammessi solo per prestazioni diverse da quelle professionali), il cui numero e la cui partecipazione al capitale sociale devono essere tali da determinare, in ogni caso, la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Tale principio è in linea con quanto disposto dall’art. 10, co. 4, lett. b), L. n. 183/2011, secondo cui il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Sull’argomento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiarito come, al fine di consentire ai professionisti di cogliere appieno le opportunità offerte dalla normativa in materia di STP e le relative spinte pro concorrenziali, vada privilegiata l’interpretazione della norma, secondo la quale i due requisiti della maggioranza dei due terzi “per teste” e “per quote di capitale” di cui all’art. 10, co. 4, lett. b), L. n. 183/2011 non vengano considerati cumulativi.
Al riguardo, la necessità di limitare la capacità decisionale dei soci non professionisti, così da evitare che questi ultimi possano influire sulle scelte strategiche della STP e sullo svolgimento delle prestazioni professionali può essere assicurata ricorrendo ai diversi strumenti previsti dal codice civile che consentono di limitare o espandere i diritti e i poteri attributi ai soci in relazione al tipo di società scelta e alla relativa governance.
Infatti, le STP non costituiscono una tipologia societaria autonoma, ma possono assumere una delle forme societarie previste dal codice civile e sono quindi soggette alla disciplina legale del modello prescelto.
Invero, a seconda del modello societario adottato, possono essere adottati dei patti parasociali o delle clausole statutarie che garantiscano ai soci professionisti di esercitare il controllo della società, anche nella situazione in cui, nella compagine societaria, essi siano in numero inferiore ai due terzi e/o detengano quote di capitale sociale inferiore ai due terzi.
Con l’atto di segnalazione al Governo e al Parlamento, il Garante ha auspicato un intervento sul testo dell’art. 10, co. 4, lett. b), L. n. 183/2011 in relazione ai requisiti ivi indicati, al fine di renderne più chiara la formulazione, assicurando così una sua applicazione uniforme da parte di tutti gli Consigli e/o Federazioni di Ordini professionali, che tenga conto dello spirito della norma e dei consolidati principi concorrenziali a cui la stessa è ispirata.

Pertanto, in attesa dell’intervento normativo si richiama il pronto ordini del CNDCEC n. 132 del 22 novembre 2021 per approfondire la costituzione di una STP nella forma di società semplice con la maggioranza della partecipazione al capitale sociale attribuita ai soci non professionisti.

È plausibile consentire l’inserimento nell’elenco dei soggetti abilitati al visto di conformità anche ai professionisti soci di STP che risultano validamente costituite ed iscritte nel registro delle imprese e nel relativo ordine professionale, ciò anche quando la maggioranza del capitale sociale non è detenuta da professionisti iscritti nei relativi albi, purché tali soci detengano il controllo dei diritti di voto della STP garantito attraverso l’adozione di patti parasociali o clausole statutarie e cioè possano esprimere la maggioranza dei 2/3 nell’assunzione delle decisioni societarie.

I soci delle Società tra professionisti esercenti attività di assistenza fiscale possono rilasciare il visto di conformità anche quando la maggioranza del capitale sociale non è detenuta da professionisti iscritti agli albi purché sia disposto che i soci certificatori detengano il controllo dei diritti di voto della società (Agenzia Entrate - risoluzione 04 marzo 2022, n. 10).

In un precedente documento di prassi del 2016 l’Agenzia delle Entrate ha avuto già modo di chiarire le condizione che devono essere rispettate affinchè il professionista socio di una società tra professionisti, abilitata alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, possa apporre il visto di conformità (art. 35, D.Lgs. n. 241/1997), utilizzando la partita IVA della società tra professionisti. Nel documento fu evidenziato che il presidio della qualificazione professionale e della fede pubblica appare rafforzato nella società tra professionisti rispetto alla società commerciale di servizi contabili, posto che i soci della prima sono unicamente professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi (soci non professionisti sono ammessi solo per prestazioni diverse da quelle professionali), il cui numero e la cui partecipazione al capitale sociale devono essere tali da determinare, in ogni caso, la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Tale principio è in linea con quanto disposto dall’art. 10, co. 4, lett. b), L. n. 183/2011, secondo cui il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
Sull’argomento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiarito come, al fine di consentire ai professionisti di cogliere appieno le opportunità offerte dalla normativa in materia di STP e le relative spinte pro concorrenziali, vada privilegiata l’interpretazione della norma, secondo la quale i due requisiti della maggioranza dei due terzi "per teste" e "per quote di capitale" di cui all’art. 10, co. 4, lett. b), L. n. 183/2011 non vengano considerati cumulativi.
Al riguardo, la necessità di limitare la capacità decisionale dei soci non professionisti, così da evitare che questi ultimi possano influire sulle scelte strategiche della STP e sullo svolgimento delle prestazioni professionali può essere assicurata ricorrendo ai diversi strumenti previsti dal codice civile che consentono di limitare o espandere i diritti e i poteri attributi ai soci in relazione al tipo di società scelta e alla relativa governance.
Infatti, le STP non costituiscono una tipologia societaria autonoma, ma possono assumere una delle forme societarie previste dal codice civile e sono quindi soggette alla disciplina legale del modello prescelto.
Invero, a seconda del modello societario adottato, possono essere adottati dei patti parasociali o delle clausole statutarie che garantiscano ai soci professionisti di esercitare il controllo della società, anche nella situazione in cui, nella compagine societaria, essi siano in numero inferiore ai due terzi e/o detengano quote di capitale sociale inferiore ai due terzi.
Con l’atto di segnalazione al Governo e al Parlamento, il Garante ha auspicato un intervento sul testo dell’art. 10, co. 4, lett. b), L. n. 183/2011 in relazione ai requisiti ivi indicati, al fine di renderne più chiara la formulazione, assicurando così una sua applicazione uniforme da parte di tutti gli Consigli e/o Federazioni di Ordini professionali, che tenga conto dello spirito della norma e dei consolidati principi concorrenziali a cui la stessa è ispirata.

Pertanto, in attesa dell’intervento normativo si richiama il pronto ordini del CNDCEC n. 132 del 22 novembre 2021 per approfondire la costituzione di una STP nella forma di società semplice con la maggioranza della partecipazione al capitale sociale attribuita ai soci non professionisti.

È plausibile consentire l’inserimento nell’elenco dei soggetti abilitati al visto di conformità anche ai professionisti soci di STP che risultano validamente costituite ed iscritte nel registro delle imprese e nel relativo ordine professionale, ciò anche quando la maggioranza del capitale sociale non è detenuta da professionisti iscritti nei relativi albi, purché tali soci detengano il controllo dei diritti di voto della STP garantito attraverso l’adozione di patti parasociali o clausole statutarie e cioè possano esprimere la maggioranza dei 2/3 nell’assunzione delle decisioni societarie.

Bonus TV decoder. procedura operativa

L’INPS, gli altri istituti previdenziali e l’Agenzia delle entrate forniscono i dati degli aventi diritto. Il fornitore procede alla comunicazione agli aventi diritto, mediante comunicazione individuale, di idonea informativa sulle modalità di richiesta e gestione della misura. (MISE – Decreto ministeriale 02 marzo 2022)

Il fornitore del servizio universale può procedere, su richiesta dei soggetti aventi titolo ai benefici, che vantino un’età anagrafica pari o superiore a 70 anni e che godano di un trattamento pensionistico non superiore a euro 20.000 annui, alla presa in carico dai produttori e alla consegna, presso il domicilio dell’interessato, di decoder idonei alla ricezione di programmi televisivi con standard trasmissivi (DVB-T2/HEVC) di prezzo non superiore ad euro 30.
Il fornitore, in caso di accesso alla misura, assicura agli aventi diritto anche l’opportuna assistenza telefonica per l’installazione e la sintonizzazione delle apparecchiature. Mediante apposita convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico ed il fornitore sono definiti i rapporti reciproci, anche con riferimento alle procedure, alle comunicazioni necessarie ed alle modalità di rendicontazione e rimborso degli oneri sostenuti dal fornitore per le attività svolte, nonché al rispetto del limite massimo di spesa. Per gli oneri sostenuti dal fornitore è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l’anno 2022.
L’INPS, gli altri istituti previdenziali e l’Agenzia delle entrate forniscono i dati degli aventi diritto. Il fornitore procede alla comunicazione agli aventi diritto, mediante comunicazione individuale, di idonea informativa sulle modalità di richiesta e gestione della misura.
Precisamente, il Ministero dello Sviluppo Economico opera il trattamento dei dati in relazione al trasferimento alla società Poste, a seguito di convenzione, dei dati personali acquisiti dall’Inps e dall’Agenzia delle entrate, in relazione alle finalità di legge; l’Inps opera il trattamento dei dati personali dei soggetti che vantano un’età anagrafica pari o superiore a 70 anni e che godano di un trattamento pensionistico non superiore a euro 20.000. Tali dati sono trasferiti al Ministero dello Sviluppo Economico; l’Agenzia dell’Entrate opera il trattamento dei dati personali relativi agli utenti residenti nel territorio dello Stato che siano intestatari del canone di abbonamento al servizio di radiodiffusione o che ne siano esenti ai sensi dell’art. 1, comma ,132, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Tali dati sono trasmessi al Ministero dello Sviluppo Economico come da accordo di collaborazione sottoscritto; la società Poste Italiane spa opera il trattamento dei dati forniti alla stessa dal Ministero dello Sviluppo Economico esclusivamente per le finalità indicate. Tali dati sono trasmessi come da convenzione sottoscritta.
I dati saranno trasmessi tramite canale telematico sicuro (s-FTP, FTP(s)), nel rispetto delle prescrizioni indicate dal Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 2 luglio 2015 n. 393, “Misure di sicurezza e modalità di scambio dei dati personali tra PP.AA”.

L’INPS, gli altri istituti previdenziali e l’Agenzia delle entrate forniscono i dati degli aventi diritto. Il fornitore procede alla comunicazione agli aventi diritto, mediante comunicazione individuale, di idonea informativa sulle modalità di richiesta e gestione della misura. (MISE - Decreto ministeriale 02 marzo 2022)

Il fornitore del servizio universale può procedere, su richiesta dei soggetti aventi titolo ai benefici, che vantino un’età anagrafica pari o superiore a 70 anni e che godano di un trattamento pensionistico non superiore a euro 20.000 annui, alla presa in carico dai produttori e alla consegna, presso il domicilio dell’interessato, di decoder idonei alla ricezione di programmi televisivi con standard trasmissivi (DVB-T2/HEVC) di prezzo non superiore ad euro 30.
Il fornitore, in caso di accesso alla misura, assicura agli aventi diritto anche l’opportuna assistenza telefonica per l’installazione e la sintonizzazione delle apparecchiature. Mediante apposita convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico ed il fornitore sono definiti i rapporti reciproci, anche con riferimento alle procedure, alle comunicazioni necessarie ed alle modalità di rendicontazione e rimborso degli oneri sostenuti dal fornitore per le attività svolte, nonché al rispetto del limite massimo di spesa. Per gli oneri sostenuti dal fornitore è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l’anno 2022.
L’INPS, gli altri istituti previdenziali e l’Agenzia delle entrate forniscono i dati degli aventi diritto. Il fornitore procede alla comunicazione agli aventi diritto, mediante comunicazione individuale, di idonea informativa sulle modalità di richiesta e gestione della misura.
Precisamente, il Ministero dello Sviluppo Economico opera il trattamento dei dati in relazione al trasferimento alla società Poste, a seguito di convenzione, dei dati personali acquisiti dall’Inps e dall’Agenzia delle entrate, in relazione alle finalità di legge; l’Inps opera il trattamento dei dati personali dei soggetti che vantano un’età anagrafica pari o superiore a 70 anni e che godano di un trattamento pensionistico non superiore a euro 20.000. Tali dati sono trasferiti al Ministero dello Sviluppo Economico; l’Agenzia dell’Entrate opera il trattamento dei dati personali relativi agli utenti residenti nel territorio dello Stato che siano intestatari del canone di abbonamento al servizio di radiodiffusione o che ne siano esenti ai sensi dell'art. 1, comma ,132, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Tali dati sono trasmessi al Ministero dello Sviluppo Economico come da accordo di collaborazione sottoscritto; la società Poste Italiane spa opera il trattamento dei dati forniti alla stessa dal Ministero dello Sviluppo Economico esclusivamente per le finalità indicate. Tali dati sono trasmessi come da convenzione sottoscritta.
I dati saranno trasmessi tramite canale telematico sicuro (s-FTP, FTP(s)), nel rispetto delle prescrizioni indicate dal Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 2 luglio 2015 n. 393, "Misure di sicurezza e modalità di scambio dei dati personali tra PP.AA".

Apparecchi da divertimento senza vincita in denaro: imposta sugli intrattenimenti 2022

Il 16 marzo 2022 scade il termine per il pagamento annuale in unica soluzione dell’imposta sugli intrattenimenti connessa agli apparecchi da divertimento ed intrattenimento senza vincita in denaro di cui all’articolo 110, comma 7, del T.U.L.P.S. (Agenzia delle dogane e dei monopoli – Comunicato 04 marzo 2022).

Ai sensi dell’art. 110, co. 7, regio decreto n. 773/1931, si considerano, altresì, apparecchi e congegni per il gioco lecito:
a) quelli elettromeccanici privi di monitor attraverso i quali il giocatore esprime la sua abilità fisica, mentale o strategica, attivabili unicamente con l’introduzione di monete metalliche, di valore complessivo non superiore, per ciascuna partita, a un euro, che distribuiscono, direttamente e immediatamente dopo la conclusione della partita, premi consistenti in prodotti di piccola oggettistica, non convertibili in denaro o scambiabili con premi di diversa specie. In tal caso il valore complessivo di ogni premio non è superiore a venti volte il costo della partita;
b) quelli automatici, semiautomatici ed elettronici da trattenimento o da gioco di abilità che si attivano solo con l’introduzione di moneta metallica, di valore non superiore per ciascuna partita a 50 centesimi di euro, nei quali gli elementi di abilità o trattenimento sono preponderanti rispetto all’elemento aleatorio, che possono consentire per ciascuna partita, subito dopo la sua conclusione, il prolungamento o la ripetizione della partita, fino a un massimo di dieci volte. Dal 1 gennaio 2003, gli apparecchi di cui alla presente lettera possono essere impiegati solo se denunciati ai sensi dell’articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e successive modificazioni, e se per essi sono state assolte le relative imposte. Dal 1 maggio 2004, tali apparecchi non possono consentire il prolungamento o la ripetizione della partita e, ove non ne sia possibile la conversione in uno degli apparecchi per il gioco lecito, essi sono rimossi. Per la conversione degli apparecchi restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 38 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni;
c) quelli, basati sulla sola abilità fisica, mentale o strategica, che non distribuiscono premi, per i quali la durata della partita può variare in relazione all’abilità del giocatore e il costo della singola partita può essere superiore a 50 centesimi di euro;
c-bis) quelli, meccanici ed elettromeccanici differenti dagli apparecchi di cui alle lettere a) e c), attivabili con moneta, con gettone ovvero con altri strumenti elettronici di pagamento e che possono distribuire tagliandi direttamente e immediatamente dopo la conclusione della partita;
c-ter) quelli, meccanici ed elettromeccanici, per i quali l’accesso al gioco è regolato senza introduzione di denaro ma con utilizzo a tempo o a scopo.
Nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previsto dall’articolo 110, comma 7-ter, del T.U.L.P.S., così come da ultimo modificato dall’articolo 104 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, di individuazione delle nuove basi imponibili forfetarie, si comunica che sono provvisoriamente confermate, per l’anno 2022, le categorie di appartenenza degli apparecchi ed i relativi imponibili forfetari dell’imposta sugli intrattenimenti, contenuti nel decreto direttoriale 10 marzo 2010 n. 398/CGV e, per gli apparecchi di cui all’articolo110, comma 7, lett. a) e c) del T.U.L.P.S., le basi imponibili di cui all’articolo 14-bis, comma 3-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640. Sono, altresì, provvisoriamente confermate le procedure di liquidazione e la relativa modulistica in essere.
Resta salva la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di intervenire nella rimodulazione a consuntivo o in corso di esercizio, per quanto necessario anche per l’anno corrente, sia in termini soggettivi che oggettivi, a Decreto Ministeriale adottato.

Il 16 marzo 2022 scade il termine per il pagamento annuale in unica soluzione dell’imposta sugli intrattenimenti connessa agli apparecchi da divertimento ed intrattenimento senza vincita in denaro di cui all’articolo 110, comma 7, del T.U.L.P.S. (Agenzia delle dogane e dei monopoli - Comunicato 04 marzo 2022).

Ai sensi dell’art. 110, co. 7, regio decreto n. 773/1931, si considerano, altresì, apparecchi e congegni per il gioco lecito:
a) quelli elettromeccanici privi di monitor attraverso i quali il giocatore esprime la sua abilità fisica, mentale o strategica, attivabili unicamente con l'introduzione di monete metalliche, di valore complessivo non superiore, per ciascuna partita, a un euro, che distribuiscono, direttamente e immediatamente dopo la conclusione della partita, premi consistenti in prodotti di piccola oggettistica, non convertibili in denaro o scambiabili con premi di diversa specie. In tal caso il valore complessivo di ogni premio non è superiore a venti volte il costo della partita;
b) quelli automatici, semiautomatici ed elettronici da trattenimento o da gioco di abilità che si attivano solo con l'introduzione di moneta metallica, di valore non superiore per ciascuna partita a 50 centesimi di euro, nei quali gli elementi di abilità o trattenimento sono preponderanti rispetto all'elemento aleatorio, che possono consentire per ciascuna partita, subito dopo la sua conclusione, il prolungamento o la ripetizione della partita, fino a un massimo di dieci volte. Dal 1 gennaio 2003, gli apparecchi di cui alla presente lettera possono essere impiegati solo se denunciati ai sensi dell'articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e successive modificazioni, e se per essi sono state assolte le relative imposte. Dal 1 maggio 2004, tali apparecchi non possono consentire il prolungamento o la ripetizione della partita e, ove non ne sia possibile la conversione in uno degli apparecchi per il gioco lecito, essi sono rimossi. Per la conversione degli apparecchi restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 38 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni;
c) quelli, basati sulla sola abilità fisica, mentale o strategica, che non distribuiscono premi, per i quali la durata della partita può variare in relazione all'abilità del giocatore e il costo della singola partita può essere superiore a 50 centesimi di euro;
c-bis) quelli, meccanici ed elettromeccanici differenti dagli apparecchi di cui alle lettere a) e c), attivabili con moneta, con gettone ovvero con altri strumenti elettronici di pagamento e che possono distribuire tagliandi direttamente e immediatamente dopo la conclusione della partita;
c-ter) quelli, meccanici ed elettromeccanici, per i quali l'accesso al gioco è regolato senza introduzione di denaro ma con utilizzo a tempo o a scopo.
Nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previsto dall’articolo 110, comma 7-ter, del T.U.L.P.S., così come da ultimo modificato dall’articolo 104 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, di individuazione delle nuove basi imponibili forfetarie, si comunica che sono provvisoriamente confermate, per l’anno 2022, le categorie di appartenenza degli apparecchi ed i relativi imponibili forfetari dell’imposta sugli intrattenimenti, contenuti nel decreto direttoriale 10 marzo 2010 n. 398/CGV e, per gli apparecchi di cui all’articolo110, comma 7, lett. a) e c) del T.U.L.P.S., le basi imponibili di cui all’articolo 14-bis, comma 3-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640. Sono, altresì, provvisoriamente confermate le procedure di liquidazione e la relativa modulistica in essere.
Resta salva la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di intervenire nella rimodulazione a consuntivo o in corso di esercizio, per quanto necessario anche per l’anno corrente, sia in termini soggettivi che oggettivi, a Decreto Ministeriale adottato.

Nessuna natura “diretta” per l’IVIE e l’IVAFE

L’Agenzia delle Entrate con la risposta 03 marzo 2022, n. 93 ha chiarito che l’IVIE e l’IVAFE sono imposte che non hanno natura diretta e la relativa liquidazione avviene con la dichiarazione dei redditi.

L’imposta sul Valore degli Immobili situati all’Estero (IVIE) e l’imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero (IVAFE), sono imposte che mirano ad equiparare il trattamento fiscale relativo al possesso all’estero di immobili e attività di natura finanziaria da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato con quello previsto per gli immobili e le attività finanziarie detenute in Italia, per i quali si applica, rispettivamente, l’imposta municipale propria (IMU) e l’imposta di bollo.

Trattasi dunque di imposte che non hanno natura “diretta” ancorché la relativa liquidazione avviene attraverso la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Ne consegue che nel caso di specie, nonostante l’istante fruisca di esenzione da qualsiasi forma di imposizione diretta dei redditi percepiti, avendo dimora abituale e sede dei propri affari ed interessi economici e sociali in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta, già a partire dal 2020, deve considerarsi fiscalmente residente in Italia e, pertanto, soggetto ad imposizione nel nostro Paese per tutti gli altri redditi non ricadenti nel regime di esenzione suddetto nonché in relazione all’obbligo di assolvere l’IVIE e l’IVAFE.

In tal caso è prevista la compilazione del quadro RW del modello dichiarazione Redditi Persone fisiche per gli investimenti e alle attività detenute all’estero al fine di assolvere agli adempimenti connessi all’IVIE e all’IVAFE.

Si ricorda che sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, fermo restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta.

L’Agenzia delle Entrate con la risposta 03 marzo 2022, n. 93 ha chiarito che l’IVIE e l’IVAFE sono imposte che non hanno natura diretta e la relativa liquidazione avviene con la dichiarazione dei redditi.

L'imposta sul Valore degli Immobili situati all'Estero (IVIE) e l'imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all'Estero (IVAFE), sono imposte che mirano ad equiparare il trattamento fiscale relativo al possesso all'estero di immobili e attività di natura finanziaria da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato con quello previsto per gli immobili e le attività finanziarie detenute in Italia, per i quali si applica, rispettivamente, l'imposta municipale propria (IMU) e l'imposta di bollo.

Trattasi dunque di imposte che non hanno natura "diretta" ancorché la relativa liquidazione avviene attraverso la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Ne consegue che nel caso di specie, nonostante l’istante fruisca di esenzione da qualsiasi forma di imposizione diretta dei redditi percepiti, avendo dimora abituale e sede dei propri affari ed interessi economici e sociali in Italia per la maggior parte del periodo d'imposta, già a partire dal 2020, deve considerarsi fiscalmente residente in Italia e, pertanto, soggetto ad imposizione nel nostro Paese per tutti gli altri redditi non ricadenti nel regime di esenzione suddetto nonché in relazione all'obbligo di assolvere l'IVIE e l'IVAFE.

In tal caso è prevista la compilazione del quadro RW del modello dichiarazione Redditi Persone fisiche per gli investimenti e alle attività detenute all'estero al fine di assolvere agli adempimenti connessi all'IVIE e all'IVAFE.

Si ricorda che sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, fermo restando l'applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d'imposta.

Cessione di contratto preliminare rilevante ai fini Iva

Costituiscono prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, le cessioni di contratto di ogni tipo e oggetto. Ciò comporta l’obbligo per il soggetto cedente di emettere la relativa fattura con addebito di imposta. In tal caso, l’imposta dovuta per la registrazione della cessione del contratto trova applicazione in misura fissa in virtù del principio di alternatività Iva/registro. (AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 04 marzo 2022, n. 95)

Il contratto preliminare è l’accordo con il quale le parti si obbligano reciprocamente alla stipula di un successivo contratto definitivo, indicandone sin da subito i contenuti e gli aspetti essenziali.
Il contratto produce tra le parti effetti unicamente obbligatori e non reali, non essendo idoneo a trasferire la proprietà del bene o a determinare l’obbligo di corrispondere il prezzo pattuito.
Il contratto preliminare di compravendita deve essere registrato entro venti giorni dalla sua sottoscrizione ed è soggetto all’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di euro 200.
Se il contratto preliminare prevede la dazione di somme a titolo di caparra confirmatoria si applica l’aliquota dello 0,50%, invece, se prevede il pagamento di acconti di prezzo non soggetti all’imposta sul valore aggiunto si applica l’aliquota del 3%.
In entrambi i casi l’imposta pagata è imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.
Nel fattispecie esaminata dall’Amministrazione finanziaria il contratto preliminare di compravendita stipulato tra due soggetti è stato in seguito ceduto ad un terzo soggetto, con il consenso del promittente venditore, a fronte del pagamento della somma di euro 50.000.
Con riferimento a detta cessione, ai sensi dell’articolo 1406 del codice civile “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”.
uindi, la cessione attua una successione a titolo particolare per atto tra vivi nel rapporto giuridico contrattuale, operando la sostituzione di un nuovo soggetto (cessionario) nella posizione giuridica, attiva o passiva, di uno degli originari contraenti (cedente).
Nel contratto preliminare con autorizzazione preventiva alla cessione, la sostituzione di un contraente con un altro soggetto avviene a titolo derivato e con effetto ex nunc, con conseguente frazionamento della fattispecie in due momenti giuridici diversi cui corrispondono differenti parti del contratto.
Il terzo soggetto, per effetto della cessione del contratto preliminare, “subentra” nella posizione del cedente e, quindi, anche nella clausola che ha previsto il versamento alla sottoscrizione del preliminare – già avvenuto – di una somma di euro 70.000 a titolo di caparra confirmatoria; la caparra, anche a seguito della cessione del contratto preliminare resta fissata nei confronti della promittente cedente nella medesima misura di euro 70.000 e con la medesima funzione.
Con riferimento alla natura giuridica della caparra confirmatoria, definita sotto il profilo civilistico dall’articolo 1385 del codice civile, diversamente dall’acconto, la stessa non rappresenta un anticipo del prezzo pattuito, rivestendo natura risarcitoria in caso di inadempimento contrattuale.
La stessa rappresenta, infatti, la liquidazione convenzionale anticipata del danno in caso di inadempimento di una delle parti.
In particolare, ai sensi del citato articolo del codice civile, se l’inadempimento è imputabile a colui che ha dato la caparra, la controparte può recedere dal contratto, trattenendo la caparra stessa, mentre se ad essere inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra, l’altra può recedere dal contratto esigendo il doppio della medesima.
La caparra muta la propria natura giuridica con la stipula del contratto definitivo, assumendosi quale acconto del prezzo di vendita del bene o del servizio, anche in considerazione del fatto che la dazione di una caparra confirmatoria presuppone la non contemporaneità tra la conclusione del contratto e la completa esecuzione del medesimo.
Alla luce di quanto sopra esposto, nella fattispecie rappresentata, si ritiene che il versamento di 50.000 euro non possa configurarsi come una restituzione parziale della “caparra confirmatoria” a suo tempo versata per euro 70.000, ma costituisca, in presenza dei requisiti soggettivo, oggettivo e territoriale previsti per l’applicazione del tributo, un corrispettivo rilevante ai fini Iva.
Al riguardo, la cessione di contratto, ai sensi dell’articolo 3, secondo comma, n. 5) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 è una prestazione di servizi rilevante ai fini Iva; detta disposizione prevede, infatti, che ” Costituiscono inoltre prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo: le cessioni di contratto di ogni tipo e oggetto”.
La Corte di Cassazione, con sentenza 5 ottobre 2005, n. 19399, ha precisato che “la cessione della posizione giuridica di contraenza relativa ad un contratto preliminare di compravendita è una specie delle «cessioni di contratti di ogni tipo e oggetto» che l’art. 3.2, n. 5, DPR 26 ottobre 1972, n. 633, considera prestazioni di servizio, se effettuate verso corrispettivo, le quali, ai sensi dell’art. 6.3.1 dello stesso atto normativo «si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo»”.
Ciò comporta l’obbligo per il soggetto cedente di emettere la relativa fattura con addebito di imposta.
In tal caso, l’imposta dovuta per la registrazione della cessione del contratto trova applicazione in misura fissa in virtù del principio di alternatività Iva/registro.

Costituiscono prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, le cessioni di contratto di ogni tipo e oggetto. Ciò comporta l'obbligo per il soggetto cedente di emettere la relativa fattura con addebito di imposta. In tal caso, l'imposta dovuta per la registrazione della cessione del contratto trova applicazione in misura fissa in virtù del principio di alternatività Iva/registro. (AGENZIA DELLE ENTRATE - Risposta 04 marzo 2022, n. 95)

Il contratto preliminare è l'accordo con il quale le parti si obbligano reciprocamente alla stipula di un successivo contratto definitivo, indicandone sin da subito i contenuti e gli aspetti essenziali.
Il contratto produce tra le parti effetti unicamente obbligatori e non reali, non essendo idoneo a trasferire la proprietà del bene o a determinare l'obbligo di corrispondere il prezzo pattuito.
Il contratto preliminare di compravendita deve essere registrato entro venti giorni dalla sua sottoscrizione ed è soggetto all'applicazione dell'imposta di registro nella misura fissa di euro 200.
Se il contratto preliminare prevede la dazione di somme a titolo di caparra confirmatoria si applica l’aliquota dello 0,50%, invece, se prevede il pagamento di acconti di prezzo non soggetti all'imposta sul valore aggiunto si applica l'aliquota del 3%.
In entrambi i casi l'imposta pagata è imputata all'imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.
Nel fattispecie esaminata dall’Amministrazione finanziaria il contratto preliminare di compravendita stipulato tra due soggetti è stato in seguito ceduto ad un terzo soggetto, con il consenso del promittente venditore, a fronte del pagamento della somma di euro 50.000.
Con riferimento a detta cessione, ai sensi dell'articolo 1406 del codice civile "ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta".
uindi, la cessione attua una successione a titolo particolare per atto tra vivi nel rapporto giuridico contrattuale, operando la sostituzione di un nuovo soggetto (cessionario) nella posizione giuridica, attiva o passiva, di uno degli originari contraenti (cedente).
Nel contratto preliminare con autorizzazione preventiva alla cessione, la sostituzione di un contraente con un altro soggetto avviene a titolo derivato e con effetto ex nunc, con conseguente frazionamento della fattispecie in due momenti giuridici diversi cui corrispondono differenti parti del contratto.
Il terzo soggetto, per effetto della cessione del contratto preliminare, "subentra" nella posizione del cedente e, quindi, anche nella clausola che ha previsto il versamento alla sottoscrizione del preliminare - già avvenuto - di una somma di euro 70.000 a titolo di caparra confirmatoria; la caparra, anche a seguito della cessione del contratto preliminare resta fissata nei confronti della promittente cedente nella medesima misura di euro 70.000 e con la medesima funzione.
Con riferimento alla natura giuridica della caparra confirmatoria, definita sotto il profilo civilistico dall'articolo 1385 del codice civile, diversamente dall'acconto, la stessa non rappresenta un anticipo del prezzo pattuito, rivestendo natura risarcitoria in caso di inadempimento contrattuale.
La stessa rappresenta, infatti, la liquidazione convenzionale anticipata del danno in caso di inadempimento di una delle parti.
In particolare, ai sensi del citato articolo del codice civile, se l'inadempimento è imputabile a colui che ha dato la caparra, la controparte può recedere dal contratto, trattenendo la caparra stessa, mentre se ad essere inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra, l'altra può recedere dal contratto esigendo il doppio della medesima.
La caparra muta la propria natura giuridica con la stipula del contratto definitivo, assumendosi quale acconto del prezzo di vendita del bene o del servizio, anche in considerazione del fatto che la dazione di una caparra confirmatoria presuppone la non contemporaneità tra la conclusione del contratto e la completa esecuzione del medesimo.
Alla luce di quanto sopra esposto, nella fattispecie rappresentata, si ritiene che il versamento di 50.000 euro non possa configurarsi come una restituzione parziale della "caparra confirmatoria" a suo tempo versata per euro 70.000, ma costituisca, in presenza dei requisiti soggettivo, oggettivo e territoriale previsti per l'applicazione del tributo, un corrispettivo rilevante ai fini Iva.
Al riguardo, la cessione di contratto, ai sensi dell'articolo 3, secondo comma, n. 5) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 è una prestazione di servizi rilevante ai fini Iva; detta disposizione prevede, infatti, che " Costituiscono inoltre prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo: le cessioni di contratto di ogni tipo e oggetto".
La Corte di Cassazione, con sentenza 5 ottobre 2005, n. 19399, ha precisato che "la cessione della posizione giuridica di contraenza relativa ad un contratto preliminare di compravendita è una specie delle «cessioni di contratti di ogni tipo e oggetto» che l'art. 3.2, n. 5, DPR 26 ottobre 1972, n. 633, considera prestazioni di servizio, se effettuate verso corrispettivo, le quali, ai sensi dell'art. 6.3.1 dello stesso atto normativo «si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo»".
Ciò comporta l'obbligo per il soggetto cedente di emettere la relativa fattura con addebito di imposta.
In tal caso, l'imposta dovuta per la registrazione della cessione del contratto trova applicazione in misura fissa in virtù del principio di alternatività Iva/registro.