Dal periodo di comporto che determina causa di licenziamento collegata al prolungamento della malattia devono essere esclusi sia il tempo trascorso in quarantena precauzionale per chi ha avuto contatti con un soggetto infetto da Covid-19, sia quello passato in isolamento domiciliare, disposto da un apposito provvedimento del sindaco, per coloro che siano risultati positivi al virus Covid-19, in relazione agli eventi verificatisi fino al 31 dicembre 2021 (Tribunale di Palmi – Ordinanza 13 gennaio 2022).
In base alle norme che regolano l’istituto del comporto per malattia del lavoratore (art. 2110, co. 2, del codice civile), nei casi di assenza dal lavoro per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, il datore di lavoro ha diritto di recedere dal contratto decorso il periodo stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità.
La durata del periodo di comporto, pertanto, è determinata dalle fonti cui la norma rinvia e, in particolare, dal CCNL applicabile.
La ratio della disposizione si individua nell’esigenza di contemperare, da un lato, l’interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia od infortunio e, dall’altro, l’esigenza del datore di lavoro di non dover subire a tempo indefinito ripercussioni sull’organizzazione aziendale per effetto dell’assenza del lavoratore.
Al fine di garantire un equo bilanciamento tra gli interessi di entrambe le parti, quindi, deve ritenersi che il datore di lavoro non possa unilateralmente recedere prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza del lavoratore (cd. periodo di comporto), astrattamente predeterminato, e che il mero superamento del predetto limite costituisca condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo del licenziamento o della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni superiori.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di recesso, vale a dire una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo.
In relazione ai periodi più recenti caratterizzati dalla diffusione dell’epidemia da Covid-19, il decreto cd. “Cura Italia” ha disposto che “fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all’articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.
La norma, per individuare il periodo trascorso in quarantena o permanenza domiciliare richiama a sua volta l’art. 1, comma 2, lett. d) ed e) del D.L. n. 19/2020, il quale indica, da un lato, i soggetti ai quali sia stata applicata la misura della quarantena precauzionale in quanto “hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano”, dall’altro, coloro che siano stati sottoposti a “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus”.
Ne consegue che, ai fini del superamento del periodo di comporto, non può essere valutato sia il tempo trascorso in quarantena precauzionale per chi ha avuto contatti con un soggetto infetto, sia quello passato in isolamento domiciliare, disposto da un apposito provvedimento del sindaco, per coloro che siano risultati positivi al virus.
Nel caso esaminato il giudice del lavoro ha ravvisato il mancato superamento del periodo di comporto per effetto della neutralizzazione dei periodi in cui il lavoratore risultava in quarantena e in sorveglianza domiciliare attiva. Di conseguenza ha disposto l’illegittimità del licenziamento, con reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato e il riconoscimento di un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione e interessi legali dalla maturazione dei singoli ratei al saldo.
In particolare, dall’esame della documentazione prodotta il giudice ha accertato che:
– il lavoratore si è assentato per malattia dal 27/11/2020 al 6/06/2021, senza alcuna interruzione (certificato medico);
– nel periodo ricompreso tra il 26/11/2020 e il 15/12/2020 il lavoratore ha contratto l’infezione da Covid-19 (esito tamponi), ed è stato sottoposto ad isolamento domiciliare con divieto assoluto di contatti e spostamenti (ordinanza sindacale).
Dal periodo di malattia utile ai fini della determinazione del periodo di comporto, quindi, deve essere scomputato l’arco temporale in cui il lavoratore ha contratto l’infezione e, per l’effetto di un’apposita ordinanza disposta dal Sindaco, si trovava in isolamento domiciliare (26/11/2020 – 15/12/2020).
Di conseguenza, come periodo di malattia computabile ai fini del comporto va preso in considerazione l’arco temporale che va dal 15/12/2020 al 6/06/2021, corrispondente a 172 giorni di malattia. Il calcolo è stato effettuato considerando come base annua, cui va rapportato il periodo di comporto, l’anno solare e cioè nei 365 giorni decorrenti dall’inizio della malattia, in quanto continuativa.
Considerato che il periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva applicata è di 180 giorni, il licenziamento è nullo per illegittimità della causa.
Dal periodo di comporto che determina causa di licenziamento collegata al prolungamento della malattia devono essere esclusi sia il tempo trascorso in quarantena precauzionale per chi ha avuto contatti con un soggetto infetto da Covid-19, sia quello passato in isolamento domiciliare, disposto da un apposito provvedimento del sindaco, per coloro che siano risultati positivi al virus Covid-19, in relazione agli eventi verificatisi fino al 31 dicembre 2021 (Tribunale di Palmi - Ordinanza 13 gennaio 2022).
In base alle norme che regolano l’istituto del comporto per malattia del lavoratore (art. 2110, co. 2, del codice civile), nei casi di assenza dal lavoro per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, il datore di lavoro ha diritto di recedere dal contratto decorso il periodo stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità.
La durata del periodo di comporto, pertanto, è determinata dalle fonti cui la norma rinvia e, in particolare, dal CCNL applicabile.
La ratio della disposizione si individua nell’esigenza di contemperare, da un lato, l’interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia od infortunio e, dall’altro, l’esigenza del datore di lavoro di non dover subire a tempo indefinito ripercussioni sull’organizzazione aziendale per effetto dell’assenza del lavoratore.
Al fine di garantire un equo bilanciamento tra gli interessi di entrambe le parti, quindi, deve ritenersi che il datore di lavoro non possa unilateralmente recedere prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza del lavoratore (cd. periodo di comporto), astrattamente predeterminato, e che il mero superamento del predetto limite costituisca condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo del licenziamento o della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni superiori.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di recesso, vale a dire una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo.
In relazione ai periodi più recenti caratterizzati dalla diffusione dell’epidemia da Covid-19, il decreto cd. "Cura Italia" ha disposto che "fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all'articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all'articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto".
La norma, per individuare il periodo trascorso in quarantena o permanenza domiciliare richiama a sua volta l’art. 1, comma 2, lett. d) ed e) del D.L. n. 19/2020, il quale indica, da un lato, i soggetti ai quali sia stata applicata la misura della quarantena precauzionale in quanto "hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano", dall’altro, coloro che siano stati sottoposti a "divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus".
Ne consegue che, ai fini del superamento del periodo di comporto, non può essere valutato sia il tempo trascorso in quarantena precauzionale per chi ha avuto contatti con un soggetto infetto, sia quello passato in isolamento domiciliare, disposto da un apposito provvedimento del sindaco, per coloro che siano risultati positivi al virus.
Nel caso esaminato il giudice del lavoro ha ravvisato il mancato superamento del periodo di comporto per effetto della neutralizzazione dei periodi in cui il lavoratore risultava in quarantena e in sorveglianza domiciliare attiva. Di conseguenza ha disposto l’illegittimità del licenziamento, con reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato e il riconoscimento di un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione e interessi legali dalla maturazione dei singoli ratei al saldo.
In particolare, dall’esame della documentazione prodotta il giudice ha accertato che:
- il lavoratore si è assentato per malattia dal 27/11/2020 al 6/06/2021, senza alcuna interruzione (certificato medico);
- nel periodo ricompreso tra il 26/11/2020 e il 15/12/2020 il lavoratore ha contratto l’infezione da Covid-19 (esito tamponi), ed è stato sottoposto ad isolamento domiciliare con divieto assoluto di contatti e spostamenti (ordinanza sindacale).
Dal periodo di malattia utile ai fini della determinazione del periodo di comporto, quindi, deve essere scomputato l’arco temporale in cui il lavoratore ha contratto l’infezione e, per l’effetto di un’apposita ordinanza disposta dal Sindaco, si trovava in isolamento domiciliare (26/11/2020 - 15/12/2020).
Di conseguenza, come periodo di malattia computabile ai fini del comporto va preso in considerazione l’arco temporale che va dal 15/12/2020 al 6/06/2021, corrispondente a 172 giorni di malattia. Il calcolo è stato effettuato considerando come base annua, cui va rapportato il periodo di comporto, l’anno solare e cioè nei 365 giorni decorrenti dall’inizio della malattia, in quanto continuativa.
Considerato che il periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva applicata è di 180 giorni, il licenziamento è nullo per illegittimità della causa.